Controlli e liti

Sui beni in reimportazione voci doganali tassative

di Ettore Sbandi

Se all’atto della reimportazione di beni in regime di perfezionamento passivo (Tpp) il contribuente dichiara voci doganali non comprese negli elenchi di prodotti trasformati autorizzati, anche se a causa di un errore nella digitazione dei codici, questi risponderà dei maggiori dazi accertati.

Questo è il principio della decisione 25057/19 della Corte di cassazione, che si presenta apparentemente formalistica e, se letta in ottica restrittiva, assai sfavorevole per gli operatori; in realtà per i giudici di legittimità si deve assumere che, in caso di errori nella classificazione dei beni in rientro nell’Ue, non deriva il disconoscimento del regime, ma l’operatore sarà tenuto a provare la correttezza sostanziale del proprio operato.

Con il Tpp si consente alle imprese autorizzate l’export temporaneo di merci delle quali sia prevista la reimportazione sotto forma di prodotti compensatori. In questo sistema, l’importatore è obbligato a indicare correttamente nella dichiarazione doganale le voci di riferimento e la qualità delle merci importate, al fine di pagare il dazio solo sul maggior valore delle lavorazioni o trasformazioni effettuate all’estero.

È vero che, allo scopo di evitare frodi o abusi, rappresenta un’esigenza del sistema prevedere che le voci doganali delle merci dichiarate rientrino negli elenchi dei prodotti compensatori autorizzati in ambito Tpp; ma è anche vero che, se una prova è ammissibile, deve trovare riconoscimento nel sistema doganale, ancorché sia a carico dell’operatore.

Spetta a quest’ultimo, in sostanza, provare all’autorità doganale che la dichiarazione erronea non ha nessuna conseguenza sul funzionamento del regime doganale di cui trattasi. Coerentemente con i principi della Corte di giustizia Ue, però, tale prova «deve segnatamente permettere di stabilire, senza alcuna ambiguità, che i prodotti compensatori risultano dalla lavorazione delle merci in esportazione temporanea» (causa C-411/01).

Tuttavia, resta il principio della Corte che, se applicato in modo rigoroso, appare molto gravoso per gli operatori, per cui eventuali errori di digitazione assumono carattere sostanziale perché incidono sul versamento del tributo e sono punibili perché suscettibili di recare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e riscossione della Dogana. Ne consegue poi il connesso trattamento sanzionatorio non escludibile per mancanza dell’elemento soggettivo ex articolo 5 del decreto legislativo 472/97, poiché l’azione di recupero comporta la riscossione di maggiori dazi.

La questione appare rischiosa, soprattutto per il contesto del Tpp che, molto diffuso tra gli operatori che fanno effettuare lavorazioni all’estero, rischia di avere applicazioni potenzialmente abnormi. L’autorità doganale deve verificare e riscuotere i dazi dovuti, pretendendo dagli operatori un comportamento rispettoso delle autorizzazioni in essere; ma tale posizione deve coincidere con la concessione all’operatore di provare comunque la sostanziale regolarità del proprio operato.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©