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L’imposta di registro sulla sentenza tardiva quando lo Stato viene condannato per la legge Pinto

È consigliabile pagare quanto richiesto, in attesa di ricevere l’equa riparazione disposta dal Tribunale

di Vincenzo Pappa Monteforte

La domanda


Il 27 aprile 2017, la Corte d’appello di Potenza, con decreto esecutivo 158/2017, mi riconosceva un indennizzo per il mancato rispetto del termine del ragionevole processo ex legge 89/2001 (legge Pinto). A tutt’oggi non ho ancora ricevuto nulla. In data 9 settembre 2019 l’agenzia delle Entrate di Potenza mi notifica l’imposta di registro pari a 208 euro per la registrazione della sentenza. I decreti di equa riparazione sono pronunciati in procedimenti in cui è sempre parte lo Stato, giacché, a norma dell’articolo 3, comma 3, della legge n. 89 del 2001, «il ricorso è proposto nei confronti del Ministro della giustizia» e, pertanto, rientrano tra gli atti per i quali è prevista la registrazione a debito (si veda la circolare 23 marzo 2004, n. 13). Sebbene sia previsto il ricorso alla direzione provinciale che prevede una serie di adempimenti, ho inviato il riesame in autotutela mediante raccomandata con ricevuta di ritorno. La risposta è stato il silenzio.
È corretto effettuare il pagamento?
D. M. – Montalbano Jonico (Matera)


Tenuto conto del decorso del termine per impugnare l’avviso (sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto, articolo 21, Dlgs 546/1992) e della circostanza che la presentazione dell’istanza in autotutela (disciplinata dall’articolo 2 quater Dl 564/1994, convertito dalla legge 656/1994 e dal Dm 37/1997) non sospende i termini per la presentazione del ricorso (Cassazione, sezione tributaria, 17 maggio 2019, n. 13367), né obbliga la pubblica amministrazione a pronunciarsi, è preferibile pagare la somma richiesta dall’erario.
Gli elementi forniti nel quesito non sono, invece, sufficienti per una risposta quanto al merito della pretesa, mancando indicazioni circa la regolamentazione nel decreto in questione delle spese del processo (articolo 91 Codice procedura civile) e sul suo passaggio in giudicato. La legge 24 marzo 2001, n. 89 (cosiddetta legge Pinto) – pur individuando nel ministro (della Giustizia, Difesa o dell’Economia) la parte nei cui confronti è proposto il ricorso - non detta una disciplina specifica sulla registrazione dei decreti emessi in tema di equa riparazione.
La normativa di riferimento deve ritrovarsi, in primo luogo, nel Dpr 131/1986. A norma dell’articolo 37), «gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili … sono soggetti all’imposta (di registro) anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili…».
L’articolo 10, lettera c), prevede che sono obbligati a chiedere la registrazione «i cancellieri e i segretari per le sentenze, i decreti e gli altri atti degli organi giurisdizionali alla cui formazione hanno partecipato nell’esercizio delle loro funzioni». Questi soggetti – a parte talune eccezioni (articolo 54, Dpr 131/1986) - curano i soli adempimenti formali, ma non sono gravati dall’obbligo di corrispondere l’imposta, di competenza delle «parti in causa», obbligate in solido (articoli 54, terzo comma e 57, primo comma, Dpr 131/1986).
In particolare, rispetto alle sentenze, ai provvedimenti ed agli atti «che occorrono nei procedimenti contenziosi nei quali sono interessate le amministrazioni dello Stato» è prevista la registrazione a debito, cioè senza contemporaneo pagamento delle imposte dovute (articolo 59, Dpr 131/1986).
Ulteriori disposizioni sono contenute nel Dpr 30 maggio 2002, n. 115, cioè il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. L’articolo 158 fissa la regola in base alla quale «nel processo in cui è parte l’amministrazione pubblica, sono prenotati a debito, se a carico dell’amministrazione ….l’imposta di registro ai sensi dell’articolo 59, comma 1, lettere a) e b), Dpr 131/1986…», specificando poi che «le spese prenotate a debito e anticipate dall’erario sono recuperate dall’amministrazione, insieme alle altre spese anticipate, in caso di condanna dell’altra parte alla rifusione delle spese in proprio favore».
L’articolo 159, infine, recita che «nel caso di compensazione delle spese, se la registrazione è chiesta dall’amministrazione, l’imposta di registro della sentenza è prenotata a debito, per la metà, o per la quota di compensazione, ed è pagata per il rimanente dall’altra parte; se la registrazione è chiesta dalla parte diversa dall’amministrazione, nel proprio interesse o per uno degli usi previsti dalla legge, l’imposta di registro della sentenza è pagata per intero dalla stessa parte».
Non conoscendo la regolamentazione delle spese decisa dal giudice nel decreto oggetto del quesito, risulta impossibile una risposta più dettagliata circa il merito. Resta da citare un unico precedente giurisprudenziale di qualche interesse: secondo la Commissione tributaria regionale del Lazio, 2 settembre 2009, n. 10, il recupero dell’imposta prenotata a debito nei confronti della parte privata soccombente e condannata anche parzialmente alle spese potrà attuarsi soltanto in base a sentenza passata in giudicato.

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