Controlli e liti

Per l’uso dei documenti acquisiti dalla polizia tributaria non serve il nullaosta dell’autorità giudiziaria

di Roberto Bianchi

Nell’ambito dell’accertamento delle imposte, l’impiego della documentazione acquisita nello svolgimento delle attività di polizia tributaria non è subordinato all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria in quanto, tale atto, è posto esclusivamente a salvaguardia del segreto istruttorio. Peraltro, non sussistendo alcuna esigenza di tutela dei terzi, l’assenza dell’autorizzazione non limita l’efficacia probatoria delle informazioni trasmesse, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla base delle stesse.
A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione attraverso la sentenza 15995/2019 .
Il comma 3, articolo 33 del Dpr 600/1973 e il comma 1, articolo 63 del Dpr 633/1972 affermano che le Fiamme gialle dispongono del potere di utilizzare e trasmettere agli Uffici finanziari, ai fini dell’accertamento della maggiore imposta dovuta, documenti, dati e notizie acquisiti nell’esercizio dei poteri di Polizia Giudiziaria, previa autorizzazione da parte dell’autorità competente.
Da un punto di vista procedimentale è necessario interrogarsi se gli elementi probatori acquisiti dai finanzieri in tale veste risultino liberamente impiegabili dagli Uffici tributari e possano essere utilizzati per la formazione dell’avviso di accertamento.
La giurisprudenza e la dottrina sono orientate a riconoscere il trasferimento delle risultanze penali nel procedimento tributario anche in assenza dell’autorizzazione stabilita dalla normativa, essendo tale atto posto esclusivamente a tutela delle indagini penali e del segreto istruttorio (Corte Cost. sent. 51/1992) e non a garanzia dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o dei terzi e non essendo necessaria l’allegazione di tale autorizzazione all’atto impositivo (Cassazione, sentenza 10573/2011).
Il beneplacito, infatti, non è diretto a permettere l’accesso della Guardia di Finanza ai dati penali (Cassazione, sentenza 9100/2001) a fini tributari ma solamente a consentire la trasmissione, anche all’agenzia delle Entrate, di materiale acquisito per finalità meramente penali (Cassazione, sentenza 8604/2011). Ne consegue che la mancanza dell’autorizzazione non rileva ai fini dell’efficacia probatoria dei dati trasmessi (Cassazione, sentenza 8181/2007), né implica l’invalidità o la nullità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi (Cassazione, sentenza 11607/2012).
Una parte della dottrina, tuttavia, non concorda con la tesi della Suprema Corte ritenendo che l’autorizzazione del magistrato costituisca una condizione indispensabile per la trasmissione e l’utilizzazione e pertanto, in caso di mancanza o di diniego della stessa, gli atti e i documenti non possano essere né utilizzati né tantomeno trasmessi.
La Corte di Cassazione, però, ha precisato che la Guardia di finanza, cooperando con gli Uffici per l’acquisizione e il reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento dell’imposta e per la repressione delle violazioni, persegue un interesse pubblico finalizzato al corretto funzionamento del sistema tributario, valore di rango non inferiore e anzi connesso a quello del perseguimento dei reati fiscali, allorché la stessa agisce anche in veste di polizia giudiziaria (Cassazione, sentenza 2352/2013). La norma fiscale riconosce, pertanto, all’autorità giudiziaria penale il potere, comunque a essa spettante ex articolo 329 del Codice di procedura penale, di derogare al segreto istruttorio in funzione dell’interesse a un sollecito e corretto accertamento tributario. Ne discende che la trasmissione non autorizzata di atti coperti dal segreto istruttorio rileva esclusivamente nell’ambito del giudizio penale, mentre l’interesse della parte privata a svolgere compiutamente le proprie difese nel giudizio tributario viene pienamente garantito dalla conoscenza o conoscibilità degli atti trasmessi (Cassazione, sentenza 22176/2008).

Cassazione, sezione tributaria, sentenza 15995 del 14 giugno 2019

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