Imposte

Assegnazione dei beni, resta l’incognita dei non residenti

di Alberto Fuccio e Raffaele Villa

La Stabilità 2016 prevede l'applicazione di un'imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e dell'Irap sulla differenza tra valore normale e il costo fiscalmente riconosciuto dei beni assegnati o ceduti ai soci di società italiane. Si tratta di una agevolazione di natura temporanea per molti versi simile a quella introdotta dalla Finanziaria 2008 che, a sua volta, si era ispirata a norme analoghe contenute in provvedimenti legislativi che si sono succeduti nel tempo.

Rispetto ai precedenti interventi normativi, la novità risiede nel campo di applicazione soggettiva della medesima; invero, seppur, come si evince dalla relativa relazione illustrativa, la ratio sottostante l'intervento di riforma continua ad essere costituito dall'intento di alleggerire l'eccessivo onere fiscale a cui sono sottoposte le società non operative in forza della normativa sulle società di comodo e in perdita sistematica, è pur vero che le nuove disposizioni sarebbero applicabili a tutte le società italiane di persone (commerciali) e di capitali e non solo – come nella precedente versione dell'agevolazione – unicamente alle società senza impresa.

Se da un lato tale ampliamento non può che essere salutato con favore nell'ottica del diritto interno, dall'altro lato potrebbero dal medesimo scaturire effetti sostanziali non conformi ai principi ed alle libertà fondamentali su cu si basa il diritto dell'Unione europea e dello Spazio economico europeo. Ci si riferisce in particolare al principio di non discriminazione ed alla libertà di stabilimento di cui, rispettivamente, agli articoli 18 e 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e agli articoli 4 e 31 dell'Accordo sullo Spazio economico europeo.

In particolare, stando al tenore letterale delle nuove disposizioni, è indubbio che le medesime sarebbero applicabili unicamente alle Snc, Sas, Srl, Spa e Sapa; quindi, sarebbero applicabili soltanto alle tipologie di società su indicate, che, salvo casi di dual residence, siano residenti nel territorio dello Stato con esclusione, pertanto, delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.

Perciò, la versione attuale della futura norma discrimina i soggetti non residenti aventi una stabile organizzazione in Italia nei casi in cui gli stessi siano eventualmente residenti in uno Stato membro dell'Unione europea ovvero in uno Stato che abbia stipulato una convenzione per evitare la doppia imposizione che contenga una clausola di non discriminazione analoga a quella prevista dall'articolo 24(3) del modello di Convenzione Ocse.

Limitando l'analisi all'ambito comunitario, è da rilevare come tale disparità di trattamento finirebbe per impedire l'esercizio della fondamentale libertà di stabilimento da parte delle società della Ue o dello See non residenti, come più volte chiarito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea (una fra tutte C-311/1997, Royal Bank of Scotland); infatti, se è vero che la ratio delle agevolazioni fiscali in commento continua ad essere quella di mitigare il gravoso regime fiscale riservato alle società non operative, è altrettanto vero che tale regime fiscale di sfavore risulta applicabile anche alle società non residenti operanti in Italia per il tramite di una stabile organizzazione che, tuttavia, come si è detto, non beneficerebbero dell'agevolazione fiscale più volte citata.

Sarebbe certamente auspicabile una modifica estendendo l'agevolazione fiscale in oggetto in favore di tutti i soggetti percettori in Italia di reddito di impresa, a prescindere dallo Stato di residenza.

Infine, alla luce della applicabilità delle norme extra Tuir ai fini della determinazione del reddito della controllata estera da attribuire alla controllante residente in applicazione della normativa Cfc, sarebbe da chiarire se e con quali modalità tali nuove disposizioni di favore sarebbero utilizzabili.

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