Professione

L’INTERVISTA/Guglielmo Maisto: «Nessuna minaccia fiscale per l’Ue da una eventuale uscita del Regno Unito»

di Alessandro Galimberti

Londra fuori dal perimetro comunitario non sarà una minaccia per la competizione fiscale fair all’interno del Vecchio Continente. O, forse meglio, non sarà un’uscita più o meno hard del Regno Unito ad alterare i (già squilibrati) rapporti tra partner europei in materia tributaria. E non dipenderà neppure dalle modalità di abbandono unilaterali o negoziate della Gran Bretagna, perchè nell’ultimo decennio la rete internazionale di scambio e di collaborazione fiscale è cresciuta quanto basta per ammortizzare scelte “destabilizzanti” di un singolo Stato.

Ne è convinto Guglielmo Maisto, professore di diritto tributario internazionale comparato all’Università Cattolica di Piacenza e presidente, tra l’altro, della sezione italiana dell’International Fiscal Association che in questi giorni sta tenendo proprio a Londra l’assemblea annuale. «È pur vero che l’accordo di Brexit negoziato lo scorso anno dall’allora premier Theresa May conteneva anche un articolo sulla fiscalità - dice Maisto a margine dei lavori congressuali dell’Ifa - con un impegno tra l’altro a rispettare la direttiva Atad (norma europea antielusione per le multinazionali in vigore dal 1° gennaio scorso, ndr) e le regole generali di prevenzione di una competizione fiscale dannosa. Tuttavia anche una Brexit unilaterale, in teoria senza salvagenti, non lascerà al Regno Unito mano libera sul tema».

Secondo Maisto «i costi diretti e indiretti dell’abbandono continentale, tra le clausole convenzionali e l’inevitabile downgrading che colpirebbe il debito sovrano (almeno 70 miliardi di sterline complessive stimate, ndr) ridurrebbero di molto la possibilità di azioni aggressive sul versante aliquote». Oggi la corporate tax londinese è al 19% (potrebbe scendere di due punti nel 2020), un’esatta via di mezzo tra il paradiso irlandese e l’equivalente imposta italiana, ma i margini di manovra su un eventuale abbassamento sono davvero esigui, più che altro per una questione tecnica: «Le regole sulle Cfc (Controlled foreign companies) condivise a livello europeo prevedono un meccanismo di compensazione automatica nell’ipotesi che un’amministrazione fiscale, poniamo quella inglese, abbassi l’aliquota sotto il 50% rispetto a quelle di altro Stato in cui sia basata la società. In questo caso l’imposta risparmiata nello Stato a fiscalità aggressiva verrebbe recuperata nell’altra amministrazione. Di fatto oggi tutti i paesi del G20 hanno adottato questo meccanismo».

Quanto alla trasparenza fiscale e alla compliance antiriciclaggio/finanziamento al terrorismo internazionale, «gli accordi ormai attivi a livello globale - aggiunge Maisto - e gli scambi di informazione anche tra le Fiu (unità di informazione finanziaria, ndr) sono tali da non generare nuove preoccupazioni».

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