Contabilità

Crisi d’impresa, monitoraggio nelle Pmi parametrato alle dimensioni

di Pierpaolo Ceroli e Agnese Menghi

La vita delle imprese è connotata da quattro fasi sequenziali identificate nel momento di start-up, sviluppo, maturazione e declino. La crisi è la diretta conseguenza di quest’ultima fase e, come ricordava il professor Luigi Guatri (in «Crisi e risanamento delle imprese» del 1986), è una manifestazione di tipo patologico che può svilupparsi in più stadi.
All’origine della crisi, infatti, vi sono fenomeni interni o esterni di squilibrio e di inefficienza (1° stadio) che con il perdurare generano la produzione di perdite di varia gravità (2° stadio) il cui ripetersi, unitamente col crescere di intensità, caratterizzano l’insolvenza (3° stadio) ossia l’incapacità manifesta di fronteggiare gli impegni assunti oltre il quale si addiviene al dissesto (4° stadio) inteso come incapacità permanente dell’attivo di fronteggiare il passivo.
Va da sé che una «crisi affrontata al primo stadio, quando ancora non ha generato perdite economiche, è più facilmente rimediabile, a parità di circostanze. La difficoltà […] è spesso l’individuazione della crisi, cioè dei sintomi […] che la caratterizzano e che preparano la seconda fase, quella delle perdite».

Pertanto, sebbene i segnali dello stato di insolvenza siano univoci, lo stesso non può dirsi per quelli di un precedente stato di crisi, motivo per cui gli strumenti di allerta, messi appunto dal nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, dovrebbero essere idonei ad intercettarla prima dell’insolvenza, cd. twilight zone (1° e 2° stadio), ed in ogni caso in tempo per essere ancora gestita.

È chiaro che la tempestiva rilevazione della crisi presuppone la continua valutazione del rischio di crisi e quindi dei relativi fattori (risk assessment), già prevista dall’articolo 6, comma 2, del Dlgs 175/2016, ed è rimessa all’impresa attraverso gli adeguati assetti organizzativi, così come richiesti dal nuovo articolo 2086 del Codice civile.

Non a caso l’articolo 12, comma 1, del Dlgs 14/2019, impone gli “obblighi organizzativi” come strumenti di allerta posti a carico dell’imprenditore, da cui consegue imprescindibilmente che gli stessi siano dimensionati alla specifica complessità aziendale, sebbene, la gestione anticipata della crisi non permetta l’inerzia nella loro efficace adozione.

Pertanto, la finalità degli adeguati assetti organizzativi è quella di intercettare in modo continuativo gli indizi di un’eventuale crisi con la tempestività consona a presentare, non oltre tre mesi, una domanda di accesso ad una procedura di composizione assistita presso l’Ocri, oppure entro sei mesi un’istanza ad una delle procedure all’articolo 24, comma 1 del Dlgs 14/2019.

Inoltre, se è vero che uno squilibrio finanziario costituisce un rischio elevato di crisi accrescendone sensibilmente la probabilità, è altrettanto vero che un disequilibrio economico non determina necessariamente una situazione di crisi così come la produzione di risultati netti positivi non è condizione sufficiente per escludere la presenza di una crisi stessa.

Da tutto ciò emerge la contestuale necessità/difficoltà di parametrate in relazione alla complessità aziendale i sistemi da implementare per monitorare la crisi soprattutto per le società di piccole dimensioni.

In attesa degli indicatori della crisi (articolo 13) definiti dal Cndcec ed approvati dal Mise, salvo l’eventuale deroga di applicare quelli “personalizzati” avallati da un professionista indipendente, si ritiene possibile fare alcune considerazioni a riguardo.
In primis, l’equilibrio finanziario, ossia la capacità di sostenere i debiti contratti, può essere monitorato, per le aziende più strutturate, con l’applicazione del Free cash flow from operations (Fcfo) mentre nelle altre realtà che non dispongono di processi di budgeting, è più opportuno il ricorso al Net operating profit after taxes (Nopat) ciò in quanto, a differenza del primo metodo che si basa sulla stima di flussi finanziari, quest’ultimo si fonda su valori economici più facili da valutare e quindi più agevoli ed accessibili.

Si potrebbe ricorrere anche allo «Z-score di E.I. Altman» il cui modello basato su una relazione lineare, composta da cinque variabili, ponderate e sommate, consente di formulare un punteggio in grado di monitorare lo stato di salute dell’azienda.
Il rischio infatti di un utilizzo “indiscriminato” dei futuri indicatori della crisi che saranno messi a punto per categorie omogenee, è un po’ quello già avvenuto con gli studi di settore con l’effetto però che, per utilizzare un parallelismo, il mancato adeguamento alla congruità e coerenza in questo caso potrebbe mettere a repentaglio la continuità della stessa azienda per via delle segnalazioni all’Ocri.

Ne consegue che nelle realtà più piccole l’organo di controllo andrà a rivestire un ruolo chiave che dovrà imporre puntuali flussi informativi da parte dell’organo amministrativo e delle diverse funzioni aziendali con una frequenza periodica o spot in relazione agli indizi emersi in sede di controllo.

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