Contabilità

Nel mirino reati ambientali e sicurezza nei luoghi di lavoro

di Riccardo Borsari

L’introduzione del Dlgs 231/2001 ha rappresentato una rivoluzione copernicana per l’ordinamento italiano. Il paradigma secolare della coincidenza esclusiva fra reato e persona fisica è stato, infatti, definitivamente superato: accanto all’ordinaria responsabilità penale delle persone fisiche, il Legislatore ha introdotto un inedito sistema di responsabilità da reato degli enti collettivi, per il quale una societas viene chiamata a rispondere, in modo autonomo e diretto, della commissione di alcuni reati (cosiddetti reati-presupposto) nel suo interesse e/o vantaggio da parte di soggetti appartenenti alla sua organizzazione.

Nel tempo il Decreto 231 ha conosciuto molteplici variazioni indirizzate soprattutto ad estenderne il perimetro di azione. Originariamente, infatti, detto catalogo era limitato ai delitti, raccolti in due articoli, di indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico (articolo 24), concussione e corruzione (articolo 25). Ad oggi, si contano invece ben 17 ulteriori articoli, recanti a loro volta fattispecie molteplici e composite.

Malgrado detto teorico potenziamento dell’ambito della responsabilità da reato dell’ente, è tuttavia emersa, in tempi recenti, la sostanziale ineffettività del modello (preventivo oltre che sanzionatorio) disegnato dal Dlgs 231/2001 in ragione della diffusa disapplicazione giudiziale della normativa. Non solo: i reati per i quali gli enti vengono condannati o “patteggiano” una sanzione sono solo una minima parte di quel voluminoso elenco a cui si è sopra accennato.

È quanto svelano i dati dell’“Osservatorio 231” sull’applicazione del Dlgs 231/2001 nel Triveneto e in Lombardia, istituito presso il Dipartimento di diritto pubblico, internazionale e comunitario dell’Università di Padova e il Dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università di Milano.

Per fare alcuni esempi, in una realtà economicamente significativa per il Paese come il Triveneto si è passati dai 93 procedimenti instaurati nel 2012 ai 61 del 2016. I fascicoli aperti a carico degli enti nelle tre regioni hanno riguardato, nel quadriennio indicato, principalmente i delitti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con 151 procedimenti, a fronte dei 31 procedimenti in materia ambientale e dei 16 in materia di reati contro la Pa. Le restanti ipotesi di reato-presupposto del Dlgs 231/2001 hanno invece riscontrato un’applicazione che non supera la decina di casi. Vi è, poi, un ultimo dato rivelatore: nel periodo di tempo indicato, se inizialmente era il più popolato Veneto a detenere il primato dei procedimenti, nel 2016 è stato il Friuli Venezia Giulia ad aprire il numero maggiore di fascicoli a carico di enti, con un raddoppio significativo fra 2014 e 2015.

Da questi dati in primo luogo si evince che l’applicazione della disciplina è rimessa alla discrezionalità dei singoli uffici delle procure. Non si spiegherebbe, altrimenti, la ragione per cui il numero di procedimenti a carico degli enti sia così inferiore rispetto al numero di quelli che interessano le persone fisiche negli stessi ambiti criminosi; né perché si registrino, da un anno all’altro, variazioni così repentine nel numero di illeciti contestati agli enti. D’altra parte, non troverebbe spiegazione nemmeno il fatto che in due regioni con una differenza significativa di numero di abitanti, quali il Friuli Venezia Giulia e il Veneto, nel 2015 il tasso di “criminalità” degli enti sia arrivato ad essere nella prima il doppio rispetto a quello della seconda.

Ne deriva l’evidenza di un sistema incentrato sull’opportunità dell’azione penale, che resta affidata alla sensibilità dei singoli magistrati sulla base di criteri non codificati.

In secondo luogo, dai “numeri 231” del Triveneto si evince che la maggior parte dei reati per cui l’ente può in astratto rispondere rimane sulla carta. I veri ambiti di applicazione sono quelli del diritto penale del lavoro e dell’ambiente, specialmente nella forma colposa, e dei delitti contro la Pa. Per contro, la proliferazione indiscriminata delle fattispecie-presupposto si pone in aperta tensione con l’intento preventivo che sorregge l’intera disciplina. Maggiore è infatti il numero dei reati-presupposto, maggiori saranno per le imprese le difficoltà, anche economiche, nell’adottare Mog che, lungi dal rimanere un adempimento burocratico, siano dotati di effettività. E, al crescere degli ambiti di responsabilità delle imprese, corrisponde la crescita del numero di reati non registrati dalle procure.

Si iscrive in questo climax la convergenza di istanze verso una rimeditazione della responsabilità degli enti. L’ineliminabile funzione di contrasto e prevenzione della criminalità economica assolta dal Decreto 231 risulterebbe infatti rafforzata, per esempio, dal controllo giudiziale sull’inazione nelle iscrizioni delle notizie di reato e dalla restrizione dell’elenco dei reati-presupposto alle sole fattispecie effettivamente connesse al dovere di corretta organizzazione dell’ente.

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