Professione

Commercialisti: le specializzazioni non sono la panacea

di Redazione Qdf

Con oggi si conclude la pubblicazione degli interventi sulle specializzazioni
dei commercialisti, una proposta lanciata da Massimo Miani , presidente Cndcec, nell’intervista rilasciata sabato 1° giugno 2019 al Sole 24.

Il punto è come specializzarsi

Cosa penso delle specializzazioni: che sia necessario «specializzarsi» senza ombra di dubbio. Come ho fatto io hanno fatto tanti colleghi, si sono dedicati in particolare ad alcune attività, lasciandone altre a colleghi o collaboratori preparati e riconoscendo alle altre professioni le loro competenze.

È il come specializzarsi che è in discussione e il come vengano riconosciute dall’esterno queste “specializzazioni”. Se dall’istituzione dell’Ordine a oggi ci è stata riconosciuta competenza in diversi ambiti ed ognuno di noi (complice il mercato o la casualità, o le occasioni che la vita professionale ti porge, se le sai cogliere) ne ha portato avanti alcuni e non altri, è da qui che dobbiamo partire.

Proporre di riconoscere un patentino di specialità dopo 200 ore di corso, il cui livello non è sempre certificabile, mi pare poco qualificante e tutelante; proporre di riconoscere come specializzazione qualcosa per cui esistono già registri cui essere iscritti se si hanno i requisiti, o comunque che è dall’istituzione dell’Albo oggetto della professione, mi sembra un suicidio per la categoria.

Cosa penso delle specializzazioni? Che prima dobbiamo conoscere meglio noi stessi, in cosa la vita professionale ci ha già specializzati, quali sono le esigenze già attuali o future del mercato che possano usufruire di quelle che sono già nostre competenze ed esperienze, e su queste esigenze concentrarci... Se ci sono attività riservate agli iscritti al Registro dei revisori legali, che è nato dopo l’Albo dei dottori commercialisti divenuto poi Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, significa che l’esigenza di «riserve» c’era...e c’è. Perché allora ai revisori legali? Su questo dobbiamo interrogarci.

Sul non aver saputo tutelare e valorizzare la professione del dottore commercialista: un professionista ritenuto responsabile dell’operato del contribuente e delle imprese, a tutela della fede pubblica e degli interessi dello Stato, quando occorre, ma indegno di validare una operazione di trasferimento di quelle stesse imprese, perché non sarebbe in grado di garantirne la legalità.

Maria Paglia (Reggio Emilia)

Sconsigliate per i giovani

La maggioranza dei commercialisti ha messo al centro della propria attività professionale quella tributaria e fiscale basata sulla conoscenza, l’esperienza e la necessità legislativa in essere. Tale specializzazione, senza esclusiva, ha rappresentato una profonda trasformazione e integrazione della professione messa a disposizione degli imprenditori e dello Stato.

I commercialisti, più di altri lavoratori autonomi, risentono dei contraccolpi in materia di aggiornamento professionale e tecnologico. Per il superamento della crisi oramai strutturale che sta colpendo da anni la categoria, così legata alla propria identità, necessita che il futuro della stessa non sia più demandata al solo Consiglio nazionale ma deve essere costruito dall’intero sistema territoriale di riferimento anche con le associazioni di categoria sia a livello nazionale che territoriale.Il concetto di specializzazione, tanto ventilato dal presidente del Consiglio nazionale, non è certamente importante se si vuole dare ai giovani la possibilità di affezionarsi alla professione. Il professionista meno giovane che opera sul mercato da diversi anni ha già acquisito una propria dignità professionale sia a livello personale che di studio, per la qual cosa la specializzazione cui è riferimento il dibattito, non gli serve. Gli studi moderni, in chiave nazionale, europea ed internazionale sono costituiti in studi interprofessionali associati all’interno dei quali ci sono professionisti la cui specializzazione è avvenuta o dal mercato o con la frequenza di stage a proprie spese.

Giancarlo Fusco, già consigliere nazionale

Fatti non parole

Non è possibile risolvere tutto con le cosiddette specializzazioni, quasi fossero la panacea degli attuali problemi e criticità. Il mondo delle imprese italiane è, tradizionalmente, rappresentato da entità di dimensioni minimali, che necessitano di assistenza completamente diversa da quella che caratterizza le strutture di medie e grandi dimensioni. Ipotizzare di “vendere” alte consulenze a micro imprese è, oltre che velleitario, assolutamente impraticabile. In ogni caso, la specializzazione non potrà che riguardare una quota minimale degli iscritti. Non è possibile ipotizzare una sorta di omologazione dei rapporti fra professionisti e assistiti, ignorando le peculiarità e le specificità soggettive. Altre sono le priorità: ad esempio, la rotazione degli incarichi presso i tribunali, i quali sono oggettivamente “patrimonio” di cerchie ristrette di professionisti. Sarebbe buona cosa provare a replicare i meccanismi di nomina dei revisori degli enti locali, senza prevedere ulteriori obblighi di «sotto albi».

Daniele de Mita (Foggia) e Alessandro Pratesi (Pistoia)

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