Controlli e liti

L’appello dell’Anti: il controllo dell’algoritmo degli accertamenti garantisce il diritto di difesa

di Giuseppe Latour

Rendere pienamente sindacabili gli algoritmi che portano agli accertamenti. Solo così, in fase di giudizio, potrà essere garantito il diritto alla difesa. Il 37esimo congresso nazionale dell'Anti, l'associazione nazionale dei tributaristi italiani, si chiuderà oggi a Torino e, nella giornata di ieri, è stato interamente dedicato al tema della fiscalità digitale. Una frontiera dalla quale, come è stato sottolineato nel corso di molti interventi, discendono opportunità, doveri per i consulenti ma anche moltissimi rischi.

Il pericolo più rilevante e immediato viene sottolineato da Gaetano Ragucci, presidente nazionale Anti: «L'esercizio effettivo del diritto alla difesa è legato alla possibilità di vagliare gli algoritmi». Il tema non è futuribile. Ed è stato oggetto di una prima analisi da parte del Consiglio di Stato (sentenza n. 2270/2019): i giudici hanno spiegato che il procedimento amministrativo deve essere sempre trasparente e analizzabile in fase di giudizio, anche quando sia basato sull'uso di un algoritmo, come nel caso di una selezione pubblica di docenti fatta attraverso un software.

Questi principi vanno applicati anche al nuovo contesto che sta nascendo in Italia, che ieri è stato definito di «amministrazione digitale dei tributi». Ancora Ragucci: «Se basta una presunzione a giustificare un accertamento, il giudice deve essere in grado di sindacare l'utilizzo delle banche dati che ha portato a quella presunzione». Anche avvalendosi di un consulente tecnico.

In prospettiva, ovviamente, la questione diventerà sempre più rilevante. «La Pa farà sempre più uso di software che non possono essere accettati dai cittadini in maniera fideistica», spiega Edoardo Ferragina, componente della direzione scientifica della rivista dell'Anti.

Accanto a quello del diritto alla difesa, c'è ovviamente il tema della tassazione dei nuovi servizi digitali, che passa in larga parte dalla web tax, regolata in Italia da una legge che, però, è tuttora inattuata. Maurizio Logozzo della Cattolica di Milano è convinto che, nonostante i molti difetti (come l'esclusione di alcuni servizi o la difficile individuazione della base imponibile da colpire), la web tax italiana dovrebbe partire: «Una nuova imposta è nata e bisogna portarla avanti. Inaccettabile restare allo status quo».

Infine, c'è da analizzare l'impatto che queste novità avranno sui professionisti, in un contesto che Claudio Rorato, del Politecnico di Milano, definisce di «pervasività del digitale in tutte le attività professionali». Utilizzando le nuove tecnologie (sistemi gestionali, cloud, applicazioni predittive) i tributaristi saranno chiamati a un compito molto difficile, sintetizzato così da Giovanni Ziccardi dell'Università degli studi di Milano, che guarda a come è cambiato il mercato negli Stati Uniti: «Dare più servizi a un costo minore e con una qualità più elevata».

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