Adempimenti

Industria «4.0», la tagliola della fattura parlante sui bonus per gli investimenti

Il documento con indicazione degli incentivi non può essere emesso in diverse circostanze

di Francesco Leone

La legge di Bilancio per il 2020 ha ridisegnato la disciplina di incentivazione per i nuovi investimenti in beni strumentali. In sintesi: in luogo del superammortamento e dell’iperammortamento, nel 2020 sono riconosciuti due differenti crediti d’imposta: per gli investimenti in beni materiali nuovi “ordinari” e per quelli funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale, secondo il modello «Industria 4.0» (beni ricompresi nell’allegato A della Legge di Bilancio 2017)

Tra le diverse novità è utile ricordare che, per entrambi i crediti d’imposta, l’articolo 1 comma 195 della legge di Bilancio 2020 prevede che «le fatture e gli altri documenti relativi all’acquisizione dei beni agevolati devono contenere l’espresso riferimento alle disposizioni dei commi da 184 a 194» (si veda anche il precedente articolo di Giorgio Gavelli).

Ciò significa che le imprese devono farsi rilasciare una fattura parlante nella quale il cedente dichiari, nella sostanza, che il bene è titolato a fruire di uno dei due incentivi. La «fattura parlante» non rappresenta una novità assoluta, essendo stata già prevista, ad esempio, in un contesto di incentivi finanziari in sede di attuazione dell’agevolazione per nuovi investimenti alle Pmi prevista dall’articolo 2 del Dl 69/2013 nonché, nel contesto degli incentivi fiscali, con la circolare 41/E del 2001 sul credito d’imposta disciplinato dall’articolo 8 della legge 388/2000 (seppur la giurisprudenza ha poi sconfessato la posizione assunta nella circolare, si veda l’ordinanza della Cassazione 25905/2017).

In attesa di comprendere la posizione dell’agenzia delle Entrate, tale obbligo documentale pare posto, in primo luogo, come ulteriore strumento di monitoraggio preventivo rispetto a quello garantito della comunicazione al Mise (per la quale si è in attesa del decreto direttoriale). In sostanza, l’Agenzia sarà in grado di monitorare l’agevolazione preventivamente tramite le fatture (che si ricorda, transitano sullo Sdi) e, a consuntivo, tramite le evidenze risultanti nei modelli dichiarativi.

A bene vedere, però, la «fattura parlante» pare funzionale alle attività di controllo dell’agenzia delle Entrate relativamente al credito d’imposta relativo ai beni «4.0»; essa infatti avrà la necessità di verificare se il bene agevolato presenti o meno caratteristiche tecniche tali da includerlo nell’elenco previsto dall’allegato A. La semplificazione per l’Agenzia passerà attraverso due valutazioni indipendenti, già formalizzate al momento del controllo: quella espressa nella perizia (non giurata ma obbligatoria) e quella espressa in fattura da cedente.

Qualche dubbio emerge con riferimento alla natura della responsabilità connessa al giudizio tecnico sottostante alla qualificazione da indicare in fattura. Alla perplessità più generale dei produttori si aggiunge quella dei distributori che spesso, quali ultimo anello della catena distributiva, risultano essere i soggetti su cui grava l’obbligo di esprimere il giudizio, con il rischio di non disporre (salvo avvalersi di consulenti) delle competenze necessarie oppure di non disporre di tutte le informazioni utili. Su tale aspetto, sarebbe auspicabile che l’obbligo di qualificazione fosse fatto ricadere sul produttore quale soggetto con le maggiori competenze tecniche sul prodotto (operando tuttavia dei distinguo quando il produttore è straniero).

La «fattura parlante» peraltro risulta difficilmente ipotizzabile (salvo ulteriori complicazioni) in tutte le ipotesi diverse dall’acquisto di beni già adatti all’uso a cui sono destinati. Si pensi, ad esempio, ai beni acquisiti per realizzazione di costruzioni in economia, per il revamping di beni esistenti, per la realizzazione di beni complessi nonché in caso di beni acquisiti con contratti di appalto diversi da quelli «chiavi in mano».

Le problematiche verrebbero meno se, come auspicabile, alla «fattura parlante» venisse attribuita una valenza formale e di controllo (quindi al massimo sanzionabile in caso di omissione o incompletezza) e non una valenza di presupposto dell’incentivo, a cui si ricollega la revoca del beneficio (come oggi appare dalla lettura della norma).

Ultimo aspetto non trascurabile: a ben vedere, la norma richiedere che siano «parlanti» anche altri documenti, ad esempio l’ordine, il contratto, eccetera. Ove questo venisse confermato, le imprese dovranno essere molto sensibili sull’argomento tenendone conto sin dalla fase di pianificazione dell’investimento.

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