Imposte

Brexit, per gli operatori Uk ritorno all’identificativo Iva

Chi ha già nominato il rappresentante fiscale può valutare se mantenerlo per l’intero 2021 oppure fare un passo indietro

di Giampaolo Giuliani

«I soggetti passivi stabiliti nel Regno Unito possono accedere all’istituto dell’identificazione diretta al fine di assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti in materia di Iva in Italia, in alternativa alla nomina di un rappresentante fiscale ai sensi dell’articolo 17, comma 2, del decreto Iva».

Con queste parole l’agenzia delle Entrate, nella risoluzione 7/E del 1° febbraio scorso, ha sciolto la riserva che aveva rappresentato con la Faq n. 1 del 14 gennaio 2021.

In quella sede, nei primi giorni in cui era divenuta operativa la Brexit, era stato chiesto all’amministrazione finanziaria se, in base all’articolo 35-ter del Dpr 633/72, i soggetti residenti nel Regno Unito e direttamente identificati in Italia dovessero nominare un rappresentante fiscale per l’adempimento degli obblighi Iva inerenti alle operazioni effettuate in Italia a partire dal 1° gennaio 2021.

La valutazione sospesa
Nella risposta, l’Agenzia aveva affermato la necessità di valutare se con l’uscita del Regno Unito dalla Ue sussistessero, comunque, gli strumenti giuridici che disciplinano «la reciproca assistenza in materia di imposizione indiretta, analogamente a quanto previsto dalle direttive del Consiglio n. 76/308/Cee del 15 marzo 1976 e n. 77/799/Cee del 19 dicembre 1977 e dal regolamento (Cee) n. 218/92 del Consiglio del 27 gennaio 1992», così come previsto al comma 5 dell’articolo 35-ter del decreto Iva.

Questo perché, a differenza di quanto accade per i soggetti stabiliti in uno Stato membro Ue, ai quali è attribuita in automatico la possibilità di identificarsi direttamente ai fini Iva in altri Stati membri, per i soggetti residenti in Paesi terzi questa facoltà richiede la preventiva verifica della sussistenza di accordi di cooperazione amministrativa analoghi a quelli vigenti in ambito Ue. Chiara in questo senso la risoluzione 220/E del 5 dicembre 2003, in cui, peraltro, si evidenziava come al 2003 «nessun contribuente di Paese terzo può utilizzare il predetto sistema di identificazione di cui all’art. 35-ter del D.P.R. n. 633 del 1972».

Perché ciò accadesse si è dovuto attendere il 2020, quando l’identificazione diretta è stata concessa agli operatori stabiliti nel Regno di Norvegia, in quanto il 1° agosto 2018 l’Unione europea aveva sottoscritto un accordo dove si garantiva la corretta determinazione e riscossione dell’imposta sul valore aggiunto, il corretto recupero dei crediti per tale imposta e la lotta alle frodi. Anche in quel caso c’era stata la necessità da parte dell’amministrazione finanziaria di fare le opportune valutazioni, così come rappresentato nella risoluzione 44/E del 28 luglio 2020.

Tuttavia, rispetto a quanto accaduto con la Norvegia, a cui è stato concesso ex novo l’utilizzo dell’istituto dell’identificazione diretta, con la Gran Bretagna si trattava di confermarne l’impiego successivamente al 31 dicembre 2020.

Le conseguenze del ritardo
Purtroppo l’accordo tra il Regno Unito e l’Unione europea è stato raggiunto solo il 24 dicembre scorso, e questo spiega perché nella Faq n. 1 del 14 gennaio l’Agenzia ha sostenuto la necessità di avere del tempo per effettuare gli opportuni riscontri. Ad ogni modo, questi ultimi hanno portato a riconoscere che nel protocollo oggetto dell’Accordo tra Gran Bretagna e Unione europea sono presenti gli strumenti di cooperazione amministrativa già vigenti nell’Unione. Come già detto, il riconoscimento è stato reso noto con la risoluzione 7/E del 1° febbraio 2021.

In ogni caso – vuoi perché la risposta delle Entrate è arrivata a distanza di un mese dall’uscita dalla Gran Bretagna dalla Ue, vuoi soprattutto perché nella Faq n. 1 si suggeriva agli operatori del Regno Unito identificati in Italia di valutare l’opportunità di chiudere la partita Iva loro attribuita e chiedere un nuovo numero di partita Iva, mediante presentazione del modello Aa7/10 o Aa9/12, per il tramite del proprio rappresentante fiscale italiano – molti operatori hanno seguito quest’ultima indicazione.

Al riguardo è importante sottolineare come il passaggio al rappresentante fiscale non sia definitivo, nel senso che gli operatori possono valutare se mantenerlo per l’intero anno 2021, oppure se fare un passo indietro e tornare a utilizzare l’istituto dell’identificazione diretta, che indubbiamente presenta dei caratteri di maggiore semplicità.

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