I temi di NT+Modulo 24

Iva sui contratti complessi: Cassazione e Corte Ue divise sull’abuso del diritto

Un confronto tra le differenti tecniche interpretative della nazionali ed europee nella qualificazione delle operazioni

di Luca Lavazza


La sentenza della Cassazione 30 settembre 2020, n. 20823 è l'occasione per una riflessione sul percorso interpretativo in materia di imposta sul valore aggiunto e in particolare sul rapporto gerarchico tra la riqualificazione negoziale, anche di più atti concatenati, e l'abuso del diritto.

I fatti di causa sono piuttosto datati e sicuramente antecedenti all'introduzione nel nostro ordinamento della norma antiabuso, l'articolo 10-bis della legge 212/2000 che viene tuttavia preso in considerazione dalla Cassazione unitamente alla precedente norma antielusiva ma ritenuto non applicabile a favore dell'Ufficio che aveva operato mediante riqualificazione dei contratti.

La controllante A svolgeva operazioni prevalentemente esenti ex articolo 10, n. 19, Dpr 633/1972 con conseguente pro rata di indetraibilità pari al 98%; B era una società controllata da A con pieno diritto alla detrazione, priva di mezzi propri; nel 2004 A aveva erogato un finanziamento gratuito a B finalizzato all'acquisto di beni; sempre nel 2004 tali beni sono stati poi noleggiati da B ad A; il contratto di noleggio prevedeva un pagamento dilazionato dell'importo del noleggio entro il 31 dicembre 2005.

In virtù di tali contratti, B ha detratto integralmente l'Iva assolta sugli acquisti dei beni trasferendo l'eccedenza nell'ambito della liquidazione Iva di gruppo ex articolo 73, Dpr 633/1972 e Dm 13 dicembre 1979. Durante l'anno successivo, B ha applicato l'Iva sui canoni addebitati ad A che presumibilmente non ha detratto, se non in minima parte, tale Iva.

Sicuramente, grazie alla sequenza contrattuale, è stato ottenuto un vantaggio finanziario legato alla posticipazione dell'indetraibilità dell'Iva in capo ad A nell'anno 2005 (anno di addebito dei canoni) anziché nell'anno 2004 (anno di acquisto dei beni).

Non è chiaro dai fatti di causa se l'ammontare dei canoni addebitati fosse o meno congruo rispetto al valore dei beni e se, quindi, le operazioni congegnate avessero comportato anche un effettivo risparmio di imposta in termini di minore Iva indetraibile scontata nel complesso delle operazioni.

In questo contesto, in cui il pagamento del noleggio è contrattualmente ritardato, il finanziamento gratuito erogato dalla A è stato ritenuto il corrispettivo dell'operazione di noleggio, con conseguente obbligo della B di versamento dell'Iva concernente le operazioni di noleggio già nell'esercizio 2004.

A fronte di questa composita operazione, la contestazione mossa a B è di non avere dichiarato e compensato il proprio credito Iva 2004 con l'Iva a debito conseguente al noleggio nei confronti di A, tenuto conto dell'illegittimo differimento del presupposto impositivo all'anno d'imposta successivo.

La Cassazione (punti 17.6.4-5, 17.7, 17.7.1 e 17.8) conferma la correttezza dell'operato dell'agenzia delle Entrate, negando che la vicenda fosse da trattare con gli strumenti (interpretativi, di procedura e sanzionatori) dell'elusione o dell'abuso del diritto, configurandosi una evasione di imposta. Secondo la Cassazione, è stato corretto operare riqualificando ab origine il finanziamento concesso da A quale corrispettivo per il noleggio.

Di avviso contrario è stata la Corte di giustizia (Weald Leasing Limited, causa C-103/09) che ha giudicato una vicenda simile proprio con le lenti dell'abuso del diritto che, lo si ricorda, nella materia Iva è un istituto riconosciuto dalla Corte di giustizia a partire dal 2001 (sentenza Halifax, causa C-255/01).

Secondo i giudici dell'Unione europea, non è abusiva un'operazione di leasing (anche in questo caso tra società con differente diritto alla detrazione) che procura il vantaggio di differire nel tempo il pagamento dell'onere fiscale a condizione che l'Iva applicata sui canoni di leasing sia debitamente e integralmente corrisposta. L'elemento dirimente sottoposto al giudice del rinvio è la valutazione dell'importo dei canoni locativi che non deve essere "molto più basso del normale" e deve corrispondere alla "realtà economica" (si veda sentenza Weald Leasing Limited, causa C-103/09).

La scelta della Corte di giustizia dell'Unione europea di inquadrare la vicenda nell'ambito delle pratiche potenzialmente abusive sembra condivisibile sia sotto il profilo della tecnica interpretativa che sotto quello degli effetti pratici.

Per quanto attiene alla tecnica interpretativa, è vero che la riqualificazione degli atti negoziali si colloca antecedentemente rispetto al sindacato sull'abuso del diritto per cui, in presenza di clausole che alterino il contenuto di quanto invocato dal contribuente, l'amministrazione non è vincolata al nomen iuris e deve contestare le conseguenze fiscali del contratto che si evincono dalle effettive caratteristiche giuridiche dell'operazione.

Opinabile è invece la riqualificazione e riconduzione a unità di una serie di contratti che, nel loro insieme, nella loro consecutio, avrebbero anche potuto assumere una veste differente, per derivarne differenti trattamenti fiscali.

In altre parole, se ogni contratto singolarmente considerato mantiene i contenuti tipici, non dovrebbe essere consentito riqualificare l'insieme degli atti in funzione dell'ulteriore scopo perseguito di carattere fiscale (si veda la circolare Assonime n. 21 del 4 agosto 2016, paragrafo 2.2.2).

Appare, invece, quest'ultimo proprio il terreno dell'abuso del diritto. Prova ne è che uno degli indici della "mancanza di sostanza economica" richiamata dall'articolo 10-bis legge 212/2000 può essere proprio rinvenuto nella circolarità delle operazioni in catena.

Ancor più appropriato, infine, appare il ricorso all'istituto dell'abuso del diritto se si riflette sull'estrema incertezza associata a una riqualificazione contrattuale plurima di questo tipo effettuata in assenza del giudice civile. Tale incertezza richiede

1) l'applicazione dei presidi procedimentali previsti dall'articolo 10-bis, commi 6-10, legge 212/2000;

2) che, nel quantificare la pretesa, si tenga conto di quanto già versato per effetto delle operazioni giudicate abusive (articolo 10-bis, commi 1 e 11);

3) che sia esclusa la punibilità penale (articolo 10-bis, comma 13).

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