Imposte

Iva sui distacchi di personale: la Cassazione mette a rischio l’esenzione anche per il passato

L’ordinanza 5609 della Corte pare aprire a un’applicazione per il passato dei princìpi fissati dalla Corte Ue

La Cassazione con l’ordinanza 5609/2021 del 2 marzo sembra prendere una posizione penalizzante sugli effetti temporali dei principi espressi nella recente pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea (C-94/19 dell’11 marzo 2020). Pronuncia che - si ricorderà - ha sancito l’incompatibilità con la normativa europea del regime di cui all’articolo 8, comma 35, legge 67/88, in base al quale non sono soggetti a Iva i distacchi di personale a fronte dei quali è versato il rimborso del solo costo (si veda l’articolo su NT+ Fsico).

Il test richiesto dalla Cassazione
I giudici di legittimità, con una motivazione per la verità molto sintetica, sembrano esprimere un principio che - se confermato - potrebbe avere un impatto significativo sulla vasta platea di contribuenti che ricorrono a questo tipo di accordi.

Infatti, quale diretta conseguenza dell’incompatibilità della norma domestica con quella unionale, viene imposto al giudice del rinvio - chiamato ad effettuare un esame più puntuale del rapporto tra il costo sostenuto dalla distaccante e quello riaddebitato alla distaccataria - di attenersi ai principi espressi dalla Cgue e, dunque, di valutare la presenza, o meno, del nesso diretto tra il distacco ed il corrispettivo/rimborso, ai fini della valutazione circa l’assoggettamento a Iva del distacco stesso.

Tutto ciò a prescindere da quanto diversamente previsto dalla disposizione nazionale (che, lo si ricorda, è ancora in vigore), nonché, addirittura, dal fatto che la fattispecie oggetto di giudizio è riferibile a vicende verificatesi ben prima della sentenza europea.

In buona sostanza, i giudici di legittimità sembrerebbero sancire la portata retroattiva della pronuncia della Cgue. Ciò con un impatto molto rilevante per due ordini di operazioni di distacco:

1) quelle che, da marzo 2020 ad oggi, nel pieno vigore della norma nazionale, non sono state assoggettate a Iva;

2) e addirittura quelle dello stesso tipo intercorse in annualità antecedenti la sentenza e ancora suscettibili di accertamento.

La posizione espressa dalla Corte con questa sintetica ordinanza - se quella di cui sopra è la lettura corretta - pare non del tutto condivisibile.

La Cassazione non sembra aver tenuto conto dei principi che sono stati più volte espressi dalla Cgue: non solo in tema di certezza del diritto e di legittimo affidamento del contribuente, ma anche in materia di efficacia delle sentenze pregiudiziali della Cgue. In base a questi ultimi principi, se la norma domestica è tout court incompatibile con la disciplina europea, e quindi se non è possibile una interpretazione della norma conforme ai precetti unionali, gli effetti della sentenza dovrebbero prodursi solo dopo le necessarie modifiche normative nazionali. In questi casi, il contribuente non può essere tenuto a dare seguito alle pronunce della Cgue disapplicando la norma interna, per quanto questa sia incompatibile con l’ordinamento euro-unionale.

La questione è molto delicata e meriterebbe un ulteriore approfondimento nonché, probabilmente, maggiore attenzione da parte del legislatore. L’auspicio è che la posizione recentemente espressa dalla Cassazione rimanga isolata o che i relativi effetti vengano meglio chiariti e circoscritti. In ogni caso sarebbe opportuno, in tempi brevi, un intervento chiarificatore sul punto che, in continuità con quanto avvenuto nel recente passato, limiti espressamente l’efficacia temporale della decisione della Cgue a far data dalla modifica formale della norma nazionale.

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