Imposte

Cirsi, difficile distinzione tra sviluppo sperimentale e innovazione tecnologica

Dalla differenza dipende l’ammontare dell’agevolazione, al 6% o al 12 per cento

di Francesco Leone


L'analisi dei rischi e delle opportunità collegate al credito d'imposta in ricerca, sviluppo e innovazione (CIRSI) presuppone il corretto inquadramento delle attività svolte rispetto alle definizioni fornite con il DM in corso di pubblicazione.
Tra i vari aspetti, risulterà molto importante identificare lo spartiacque tra le attività di “sviluppo sperimentale” (agevolate al 12% essendo ricomprese nella categoria della ricerca e sviluppo) e quelle di “innovazione tecnologica” (agevolate al 6%). Le definizioni contenute nel DM sembrano sovrapporsi, ma ovviamente così non è.

Differenze nelle attività e nei loro obiettivi
Entrambe le tipologie di attività sono sicuramente finalizzate all'acquisizione delle conoscenze e delle informazioni necessarie alla realizzazione di prodotti e processi nuovi o significativamente migliorati. Tuttavia, esse si differenziano rispetto allo stato dell'arte su cui si fondano le citate attività e all’obiettivo delle stesse. Lo “sviluppo sperimentale” (articolo 2) presuppone che l'attività, svolta sulla base di informazioni e conoscenze generali note, sia finalizzata a testarne l'applicazione in ambiti specifici con l'obiettivo di realizzare un bene (prodotto o un servizio) che presenti elementi di “novità” tecnologica e scientifica rispetto al settore di riferimento in cui opera l'impresa (in tal senso si conferma l'interpretazione di cui alla circolare 8/E del 2019). I citati elementi di novità non sono invece richiesti per l' “innovazione tecnologica (articolo 3) che è riconducibile all'acquisizione di informazioni e conoscenze, non nuove, finalizzate alla realizzazione o all'introduzione di prodotti o processi nuovi ovvero significativamente migliorati rispetto a quelli già realizzati dall'impresa stessa. Anche il Manuale di Frascati si sofferma sull'argomento evidenziando come le attività di sviluppo sperimentale” non devono essere confuse con quelle di “sviluppo del prodotto” (in pratica, “innovazione tecnologica”) per le quali non devono essere soddisfatti i cinque criteri per l'attività di ricerca e sviluppo. Si segnala, poi, che il concetto di novità sopra citato viene declinato dalla norma, oltre che rispetto al settore, anche rispetto al “dominio di riferimento”.

Ricerca&sviluppo: progresso scientifico già noto nel settore

In attesa dei necessari chiarimenti, è ipotizzabile la volontà di limitare l'ambito del confronto tra le attività svolte dall'impresa e ciò che già esiste ad un contesto più ridotto rispetto al settore, probabilmente coincidente con il contesto di mercato (anche territoriale?) in cui opera l'impresa. Si tratta di una lettura avallata dalla disposizione (articolo 2, comma 3) che amplia la categoria della ricerca e sviluppo (di cui fa parte lo “sviluppo sperimentale”) includendo tutte le attività dirette a “riprodurre” un particolare progresso scientifico o tecnologico già raggiunto e noto nel settore (e forse “industrializzato”) ma le cui informazioni sul processo, metodo o prodotto non sono altrettanto note ed accessibili alle altre imprese.

Si tratta di ipotesi non residuali ove si consideri che la ricerca è spesso finalizzata a ridurre il gap scientifico e tecnologico con le imprese che avendo acquisito certe conoscenze le tutelano con gli opportuni strumenti giuridici (oltre ai brevetti, si pensi al know-how). Detta disposizione riconduce il concetto di novità nei limiti di ragionevolezza evitando di dover considerare come novità solo le nuove “scoperte”. Sul punto, si auspica che il principio espresso dal Dm possa intendersi esteso, in via interpretativa, alla normativa in vigore fino al 2019.

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