Professione

«Utile la base giuridica ma oggi occorre anche saper analizzare i dati»

Intervista all’ex calciatore, agente sportivo e fondatore della Reset Group nel 2007

di Adriano Lovera

Davide Lippi, classe 1977, figlio di Marcello, il Ct campione del mondo 2006, ha lasciato da tempo la semplice definizione di figlio d’arte, per assumere quella di innovatore del mondo del calcio. Terminata presto la carriera da calciatore a causa di infortuni, ha accumulato esperienza tra il marketing e il settore commerciale della Juventus a fine anni ’90, per poi diventare agente sportivo e fondare nel 2007 la Reset Group, con il socio Carlo Diana.

Com’è stato l’inizio?

Quando ho cominciato l’attività da procuratore, alcuni colleghi intraprendevano una strada individuale, senza puntare sul lavoro di squadra. Io invece guardavo a un orizzonte ampio. Immaginavo una struttura d’impresa con i servizi necessari nello sport di oggi, sia alle società sia ai calciatori. Quindi la procura sportiva, per definire ingaggi e contratti, ma anche la parte marketing, social media compresi, la gestione dell’atleta come testimonial, l’organizzazione di eventi e perfino una academy rivolta al calcio dei dilettanti. Direi che ho avuto ragione, visto che all’inizio eravamo in due, oggi la Reset Group conta quattordici collaboratori.

Quali sono le competenze dell’agente sportivo di oggi?

Professionalità, voglia e tanto studio. Non ci si improvvisa, né è sufficiente masticare uno sport o essere stato uno sportivo famoso. E quando parlo di studio, intendo la normativa ma anche tanti altri filoni, come ad esempio i data analytics. Benché il rapporto umano sia importante, oggi molte società hanno proprietà straniere, magari di fondi, abituati a un approccio basato sui numeri. Sempre più spesso si propone un giocatore non solo sulla base del fiuto degli osservatori, ma con il suffragio di statistiche e prestazioni in qualche modo verificate.

È un mestiere che un professionista di altri ambiti può imparare, anche senza un trascorso sportivo?

Secondo me sì. La preparazione è difficile, ma comunque non è richiesta una laurea specifica e una buona base giuridica è un ottimo punto di partenza. Tanti aspetti si possono studiare sui libri, dal mandato sportivo alla contrattualistica, altri si apprendono con l’esperienza.

Quali?

Il lavoro non si esaurisce facendo firmare all’assistito un contratto, con l’ingaggio più alto possibile. Gli atleti vanno seguiti e gestiti, possono incontrare difficoltà con l’allenatore, con la società, avere problemi di inserimento e continuità. L’agente deve essere un punto di riferimento anche su questo, saper ascoltare e consigliare. E anzi, sul campo ho imparato che molte dinamiche sono identiche, dalla serie A alla Lega Pro.

Il calciatore della tua scuderia di cui va più fiero?

Giorgio Chiellini, ormai un fratello. È con me da sedici anni, da quando lasciò il Livorno. Per un soffio stava finendo alla Roma, ma riuscii a portarlo alla Juventus. La sua esperienza è anche specchio fedele di come io intendo l’attività.

A cosa si riferisce?

Ogni giocatore ha il suo carattere e questo non va snaturato. Nel caso di Giorgio, un ragazzo calmo e razionale, abbiamo sempre valutato tutto con attenzione. Tutte le scelte che avrebbero rischiato di creare un litigio con la Juventus sono state accantonate. In un certo senso, agenti e giocatori con uno stile simile finiscono per scegliersi a vicenda.

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