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La Corte di giustizia: natura pubblica della Figc, forma giuridica non decisiva

Struttura privatistica senza rilievo se soddisfa esigenze di interesse generale

di Valeria Falce e Valeria Panzironi

Il 3 febbraio scorso la Corte di giustizia Ue ha emesso una sentenza molto attesa in ordine alla possibile natura di organismo di diritto pubblico delle Federazioni sportive nazionali (Fsn) e in particolare della Figc. Il tema si rivela di grande importanza per il mondo sportivo considerate le conseguenze che da tale qualifica discendono (inclusione elenco Istat, applicabilità codice appalti eccetera).

La questione trae origine da una controversia sorta al termine di una procedura negoziata avviata dalla Figc per l’assegnazione di servizi di facchinaggio per le squadre nazionali di calcio. Una delle imprese invitate alla procedura aveva impugnato l’esito innanzi al Tar Lazio per contestarne le modalità di svolgimento, non essendo stati rispettati i dettami di pubblicità del codice degli appalti, applicabili ad avviso del ricorrente. Il ricorso è stato accolto dal Tar Lazio, il quale ha annullato l’affidamento ritenendo che la Figc dovesse essere considerata organismo di diritto pubblico.

La sentenza del Tar è stata impugnata dalla Figc e dall’impresa aggiudicataria innanzi al Consiglio di Stato, dove le parti hanno contestato la premessa stessa secondo la quale la Figc dovrebbe essere qualificata come organismo di diritto pubblico. Stante la rilevanza della questione, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte Ue due quesiti pregiudiziali volti a verificare se la Figc soddisfi o meno alcuni dei presupposti previsti dalla direttiva n.24/2014.

In particolare, il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte:

• di chiarire se un’entità investita di compiti di carattere pubblico tassativamente definiti dal diritto nazionale (come appunto le Fsn) possa considerarsi istituita per soddisfare specifiche esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale (ex articolo 2, par. 1, punto 4, lettera a, della direttiva), quand’anche non sia stata creata sotto forma di amministrazione pubblica, bensì di associazione di diritto privato (come appunto la Figc) e alcune delle sue attività, per le quali essa è anche dotata di capacità di autofinanziamento, non abbiano carattere pubblico;

• se la vigilanza del Coni, prevista dalla normativa italiana sulle Fsn, sia tale da determinare un controllo attivo sulla gestione della federazione da farla ritenere posta sotto il controllo di un’autorità pubblica, e dunque rientrante in uno dei criteri alternativi previsti dall’articolo 2, par. 1, punto 4, lettera c della citata direttiva, e ciò anche in considerazione del fatto che gli organi fondamentali del Coni sono composti in via di maggioranza da rappresentanti dell’insieme delle Fsn stesse.

La Corte si è espressa in modo chiaro sul primo quesito, affermando che per la nozione di organismo di diritto pubblico deve prevalere un’interpretazione funzionale, che è dunque indipendente dalle modalità formali della sua attuazione, cosicché si rivela del tutto indifferente sia la forma giuridica prescelta (che sia, ad esempio, di natura privatistica associativa), sia la circostanza che, oltre la propria missione di soddisfacimento di esigenze di interesse generale, l’entità realizzi anche altre attività che possono addirittura risultare prevalenti e nel complesso garantire alla entità stessa l’autofinanziamento.

Meno netta risulta la posizione sul secondo quesito. La Corte, infatti, pur avendo affermato che un controllo a posteriori, in principio, non soddisfa il criterio richiesto dalla direttiva, in quanto non consente ai poteri pubblici di influire sulle decisioni dell’organismo in esame, e che l’autonomia di gestione conferita alle Fsn in Italia sembra dunque, in linea generale, deporre in senso contrario all’esistenza di un controllo attivo da parte del Coni, esteso al punto da influire sulla gestione di una Fsn come la Figc in materia di affidamento di appalti pubblici, non ha escluso tuttavia che tale presunzione sia superabile, dovendo essere rimessa al giudice nazionale la valutazione della concreta portata del potere di controllo del Coni sulle Fsn.

La Corte ha tenuto infatti a precisare che «una presunzione siffatta può essere rovesciata qualora sia dimostrato che, nei fatti, i diversi poteri spettanti per legge al Coni nei confronti della Figc abbiano l’effetto di creare una dipendenza di detta federazione rispetto al Coni, tale per cui quest’ultimo possa influire sulle decisioni di detta federazione in materia di appalti».

La circostanza che gli organi del Coni siano composti in via maggioritaria da rappresentanti delle Fsn non è stato invece ritenuto dalla Corte argomento di pregio. Di fatto è praticamente impossibile dimostrare che ciascuna federazione, considerata singolarmente, sia in grado di “neutralizzare” il controllo pubblico esercitato dal Coni sulla Federazione stessa per effetto della partecipazione della federazione agli organi dell’Ente vigilante.

La “partita” rimane dunque aperta e la “palla” torna al Consiglio di Stato.