Il CommentoControlli e liti

Imprese e appalti, rischio blocco senza correzioni di rotta sulle irregolarità non definitive

di Maurizio Leo

Tempi duri per gli appaltatori che sembrerebbero trovarsi dinanzi a un bivio: pagare subito per contestazioni fiscali o previdenziali, anche ritenute infondate, ovvero rinunciare alle gare.

È questo il dilemma che emerge dalla lettura della disposizione introdotta dal decreto Semplificazioni nel codice degli appalti.

Il nuovo articolo 80 del codice prevede che la stazione appaltante può escludere un operatore economico dalla gara, se può dimostrare che questi non abbia ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati, qualora le violazioni siano, nella sostanza, di ammontare superiore a 5mila euro.

La disposizione – va detto - risponde alla necessità di recepire taluni principi comunitari e, in particolare, di anticipare i possibili esiti della procedura di infrazione 2018/2273 avviata dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia, con lettera del 24 gennaio 2019. Allo stesso modo, però, va rilevato come, con una ormai solita, improvvida, tecnica normativa, il legislatore abbia confezionato una disposizione, tanto indecifrabile, quanto pericolosa per il particolare settore.

L’insidia della nuova formulazione dell’articolo 80 (comma 4, quarto periodo) risiede principalmente nel riferimento agli «obblighi di pagamento (…) non definitivamente accertati». Locuzione, quest’ultima, inspiegabilmente introdotta nella norma interna, visto che non viene mai utilizzata né dalle direttive comunitarie, né da altri ordinamenti europei.

Ma andiamo con ordine.

Nell’articolo 80, comma 4, vi era (e vi è), nel primo periodo, una causa di esclusione dalla partecipazione all’appalto, se l’operatore economico ha commesso violazioni gravi «definitivamente accertate», rispetto agli obblighi relativi al pagamento di imposte, tasse e contributi previdenziali.

Tale disposizione fa buon governo del lessico fiscale e, in effetti, fino ad oggi ha funzionato. In materia tributaria, infatti, il termine «accertamento» ha un significato ben preciso e rimanda a una attività in cui vengono contestate violazioni di imponibili e di imposte, a cui fa seguito il relativo obbligo di versamento.

Viceversa, la nuova disposizione, inserita nell’articolo 80, si riferisce a «obblighi di pagamento (…) non definitivamente accertati».

La disposizione, in questo caso, risulta di complessa interpretazione poiché, non riferendosi più alle violazioni di imponibili e di imposte, bensì a un non meglio precisato accertamento di obblighi di pagamento, non utilizza la corretta terminologia fiscale che, viceversa, sarebbe di aiuto nella interpretazione e applicazione della stessa.

A una prima e più severa lettura, la norma sembrerebbe estendere la causa di esclusione dalla procedura di appalto, anche agli accertamenti (di imponibili e di imposta) non definitivi, prevedendo, però, in questo caso, non un obbligo di esclusione, ma una mera facoltà, esercitabile, con cognizione e prove, dalla stazione appaltante. Se questa lettura fosse corretta, tutte le società interessate da un accertamento fiscale o previdenziale si troverebbero a dover decidere se versare subito gli ammontari richiesti, legittimamente o illegittimamente, in sede di accertamento oppure rinunciare alla partecipazione alle procedure di appalto, laddove, come detto, la stazione appaltante può escluderle dalla gara.

A complicare ulteriormente l'interpretazione concorre l'ultimo periodo che esclude l'applicazione della norma, in alternativa al pagamento, nel caso di impegno vincolante a pagare. Anche questa formulazione, è così ambigua che si presta a una duplice interpretazione, sia favorevole che negativa per il contribuente.

Ma una diversa lettura, più sistematica e fondata sul buon senso, più che sul testo normativo, è possibile.

In effetti, ben si potrebbe sostenere che la nuova formulazione dell'articolo 80, comma 4, del codice degli appalti ammetta sì la possibilità di esclusione in caso di accertamento non definitivo, ma solo quando la stazione appaltante possa dimostrare che un appaltatore non abbia adempiuto al pagamento degli importi allo stato dovuti, quando un provvedimento impositivo è emesso, ma non è ancora definitivo. A tal fine, infatti, è utile ricordare che il legislatore fiscale, attraverso la riscossione a titolo provvisorio e la riscossione frazionata in pendenza di giudizio (contenute nel Dpr 602/1973 e nel Dlgs 546/1992) ha regolato proprio il rapporto tra le obbligazioni di pagamento, salvo la possibile sospensione amministrativa o giurisdizionale, e i provvedimenti impositivi non definitivi.

Come detto, il testo normativo non ci conforta nell'interpretazione e ciò dimostra, ancora una volta, come le norme scritte male creino problemi a settori economici rilevanti per il Paese.

La cattiva gestione della nuova causa di esclusione dalle procedure di appalto potrebbe avere effetti deflagranti in un settore strategico e, soprattutto, innescare una bomba che esploderà nelle aule della giustizia amministrativa, laddove, una questione di natura sostanzialmente fiscale, alimenterà un importante contenzioso tra stazioni appaltanti e appaltatori.

Anche questa volta è necessario richiedere a gran voce un intervento legislativo correttivo e, vista l'urgenza, magari proprio in sede di conversione del decreto Agosto.

Un legislatore sapiente non deve intervenire con l'accetta, ma con il bisturi. Deve essere in grado di governare in maniera compiuta e lungimirante le norme e gli interessi che dietro le stesse si muovono. Che si legiferi con criterio è pretendere il minimo. Oggi, però, bisogna dirlo con amarezza, sembra di pretendere troppo.