Diritto

Concordato preventivo in continuità anche senza prevalenza nella destinazione dei beni

La normativa attuale prevede solo una valutazione sull’idoneità rispetto alla prosecuzione dell’attività

di Giuseppe Acciaro e Alessandro Danovi

Il concordato preventivo con continuità aziendale disciplinato dall'articolo 186-bis della legge fallimentare prevede solo una valutazione di idoneità dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, dell'attività di impresa e ad assicurare il miglior soddisfacimento dei creditori . Ma non prevede alcun giudizio di prevalenza fra le porzioni di beni da destinare alla prosecuzione o alla liquidazione.
Lo ha stabilito il Tribunale di Rimini chiamato a qualificare una proposta di concordato preventivo il cui piano prevedeva l'affitto di un ramo d'azienda e la dismissione di alcuni beni immobili il cui valore di liquidazione risultava superiore rispetto al valore delle risorse che sarebbero state generate dalla prosecuzione dell'attività.
Il problema di individuare un criterio oggettivo per qualificare il concordato come in continuità aziendale o liquidatorio nei casi in cui il piano abbia carattere misto poiché alla continuità affianca la dismissione di parti del patrimonio non più strumentali ha assunto grande rilevanza con l'introduzione della soglia minima di soddisfazione del 20% dei creditori chirografari in caso di liquidazione introdotta nella legge fallimentare (articolo 160, quarto comma) dalla legge 132/2015 che ha convertito il Dl 83/2015, n. 83. L'inserimento di questa regola fa sì, infatti, che dalla qualificazione dipenda l'ammissibilità stessa del concordato, nel caso non raro in cui la proposta indichi una quota di soddisfazione del ceto creditorio inferiore al 20%.
La risposta giurisprudenziale si era consolidata sul criterio della prevalenza ossia sul principio secondo il quale la continuità sussisteva solo quando le risorse generate dalla prosecuzione erano quantitativamente superiori a quelle ricavate dalle dismissioni.
Principio di prevalenza poi ripreso dal Codice della crisi che, con l'articolo 84 ha sancito che nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale.
Il tribunale riminese raggiunge invece conclusioni diverse: non tenendo in considerazione le future norme del Codice della crisi e richiamando invece principi dalla sentenza di Cassazione 734/2020 che ha ricondotto il concordato misto alla fattispecie della continuità. Precisa infatti che il concordato preventivo in cui alla liquidazione di una parte dei beni dell'impresa si accompagni una componente di prosecuzione dell'attività aziendale, di qualsiasi consistenza va qualificato come concordato in continuità e segue quindi la disciplina prevista dall'articolo 186-bis.
Secondo i giudici infatti la norma attuale non prevede alcun giudizio di prevalenza quantitativa fra i beni destinati alla liquidazione ed i beni con i quali verrà perseguita la continuità, ma esclusivamente una valutazione di idoneità dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, della pregressa attività di impresa e ad assicurare il miglior soddisfacimento dei creditori. Assume quindi particolare rilievo l'attestazione del professionista indipendente che dimostra che la prosecuzione dell'attività è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.

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