Il CommentoDiritto

La forma giuridica è neutra: è l’ora di guardare all’altra faccia della luna

di Paola Coppola

Mentre si discute sulla riforma fiscale, uno spunto di riflessione arriva dalla giurisprudenza di legittimità che, con la sentenza 7407 del 17 marzo 2021, affronta la questione dell’assoggettabilità delle prestazioni rese dai professionisti di una società (Stp) costituita nella forma di Srl (ai fini della ritenuta ex articolo 25 del Dpr 600/73; si veda anche il commento pubblicato sul Sole 24 Ore del 18 marzo). La Cassazione, terza sezione civile, ha stabilito che la disciplina dell’impresa va applicata alle Stp solo nel caso in cui l’esercizio della professione costituisca elemento di un’attività organizzata, ovvero quando prevalga il coordinamento del lavoro altrui e del capitale sulla prestazione intellettuale. La Corte ha affrontato l’impasse che continua ad attanagliare l’interprete di fronte alla dicotomia, sul piano civilistico e fiscale, tra l’aspetto soggettivo della forma giuridica, e l’aspetto oggettivo dello svolgimento dell’attività economica (in via abituale, e quindi, professionale) resa attraverso modelli aggregativi (associazione tra professionisti, società tra avvocati, e società commerciale).

Lo spunto che ci offre la Corte, che ha deciso in controtendenza rispetto alla qualificazione del reddito d’impresa delle Stp in ragione della forma adottata, è quello di osservare “l’altra faccia della luna” e riflettere sull’urgenza della revisione del concetto di commercialità su cui ruota la nozione di reddito d’impresa, in modo da valorizzare in chiave innovativa il “modus” dell’organizzazione con il quale si preordina oggi lo svolgimento di un’attività economica indipendente.

La forma delle società commerciali (di persone/capitali), a ben vedere, costituisce solo un indizio della natura commerciale dell’attività economica prestata che andrebbe, invece, verificata, di caso in caso, secondo un approccio empirico e fattuale, per stabilire se l’attività è stata o meno programmata dall’agente secondo criteri di economicità, ovvero se il soggetto ha scelto di organizzare in modo professionale il suo agire facendo prevalere, in termini sostanziali, i fattori produttivi impiegati (capitale, mezzi, persone, beni) sull’apporto personale della sua opera (se si tratta di attività individuale), oppure se ha deciso di agire secondo logiche non economiche - erogative/donative, mutualistiche, sociali, solidaristiche - (se è ente o società). Verificare la commercialità (articolo 55 del Tuir) per includere nella nozione del reddito d’impresa le attività industriali (articolo 2195 del Codice civile) secondo i canoni legali vigenti legati ai modelli tradizionali delle società di persone e di capitali, oppure assegnare (ancora) rilevanza al “modus” dell’organizzazione in forma d’impresa per qualificare “commerciali” le prestazioni di servizi non indicate all’articolo 2195 del Codice, e per qualificare, all’opposto, “non commerciali”, le prestazioni di servizi non organizzate in forma di impresa, non è più coerente rispetto alla molteplicità e variabilità dei modelli e delle finalità con cui vengono svolte oggi le attività economiche.

Si pensi ai casi delle attività di interesse generale perseguite dagli enti del Terzo settore anche a mezzo della “produzione o scambio di beni e servizi” per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale; o alle attività economiche svolte dalle Stp che pur traendo reddito/profitti dal mercato lo fanno in via prevalente o esclusiva con l’apporto professionale dei soci/associati (come ha rilevato la sentenza 7407/2021).

Occorrerebbe, quindi, ripensare i criteri di qualificazione del reddito che deriva dallo svolgimento di un’attività economica “indipendente” per arrivare, più coerentemente, ad individuare una fonte “unitaria” di produzione: l’esercizio dell’attività “imprenditoriale” (per imprese e professionisti) per distinguerlo da quello “non imprenditoriale” tipico degli enti associativi che svolgono l’attività, in via prevalente o esclusiva, secondo logiche non economiche, per evitare all’interprete di restare imbrigliato nella “forma commerciale” prescelta (se societaria), oppure di compiere le complesse indagini tese a stabilire se l’ attività economica è resa con un’ organizzazione di tipo imprenditoriale o di tipo professionale. Disamina che, come emerge dal complesso ed intricato groviglio di norme, giurisprudenza e prassi sul tema specifico, comporta una serie infinita di difficoltà applicative ai fini delle imposte dirette (e dell’ Irap) per stabilire il livello “quantitativo” o “qualitativo” dei fattori produttivi impiegati, ancor più ardua se operata e rapportata agli scambi sui mercati innovativi del web.

La base imponibile del reddito imprenditoriale (di fonte unitaria) potrebbe rimanere per cassa fino a un determinato ammontare (come attualmente si determinano, del resto, i redditi dei professionisti e delle imprese minori ex articolo 66 del Tuir) e restare per competenza per i redditi di soglia superiore e/o prodotti con la forma delle società commerciali.

Ai fini della discriminazione, qualitativa e quantitativa del prelievo cui è informato il nostro sistema impositivo, la tassazione del reddito imprenditoriale prodotto potrebbe scontare un’imposta di tipo proporzionale (con aliquote differenziate) sia se si tratti di persone fisiche, che di società ed enti commerciali.

Se l’attività imprenditoriale dovesse essere svolta attraverso la forma di una società commerciale si potrebbe distinguere il caso che si tratti di società di persone, per il quale a siffatta imposta proporzionale sulla società (abbandonando il principio di trasparenza) andrebbe combinata la tassazione progressiva della parte dell’utile corrispondente alla remunerazione dell’apporto/lavoro del socio per tassare a fini personali le somme prelevate per la soddisfazione dei bisogni personali e familiari del soggetto passivo, secondo criteri di progressività che, correlativamente, dovrebbe costituire un costo deducibile per la società (come previsto per l’Iri).

Per le società di capitali potrebbe restare in vita la tassazione proporzionale sul reddito prodotto combinata con l’imposta dovuta dai soci secondo il criterio della tassazione per esenzione (limitata) per escludere la doppia imposizione economica (semmai “semplificata” nell’applicazione della attuale Pex).

Dovrebbero introdursi, e/o mantenersi, tuttavia, limiti “soglia” del reddito imprenditoriale da assoggettare ad imposta (proporzionale) per persone fisiche e società da tassare con aliquote differenziate (e ridotte) per tener conto della specificità di talune attività che non si prestano a corrispondere alle forme giuridiche adottate (come potrebbe avvenire proprio per la tassazione delle Stp) o per perseguire finalità extrafiscali e sostenere, in via promozionale (per sussidiarietà orizzontale), le attività sociali (enti del Terzo settore o delle imprese sociali) e/o per tassare, in maniera equa e proporzionata, i redditi realizzati in via abituale dalle fasce più deboli di contribuenti (“minori”) senza dover ricorrere a criteri di “massimizzazione” astratti, legati (unicamente) al limite soglia dei ricavi prodotti nell’anno precedente, facilmente aggirabili con finalità evasive (come avviene nell’attuale “flat tax”).

Nei casi più difficili, dove potrebbe essere tecnicamente impossibile identificare la scelta programmatica (e, quindi, verificare la professionalità) dell’agente (si pensi ai caso di scambi di utilità/vantaggi nella web o sharing economy), potrebbero prevedersi imposte sostitutive e/o introdursi soglie di franchigia e, quindi, di esonero, ove i profitti conseguiti dall’esercizio dell’attività economica indipendente svolta in via individuale/collettiva, dovessero essere così esigui da non potersi ravvisare alcuna economicità nello svolgimento dell’attività perché inidonea ad autoalimentarsi sul mercato. Ciò, senza essere costretti a tentare di differenziare i casi di occasionalità, da quelli di abitualità, di ancor più improbabile e difficile individuazione se rapportati alle iniziative economiche che si attuano sul web.

Ai fini Irap potrebbe introdursi una soglia di esonero del valore della produzione che rispecchi l’effettivo impiego di beni, mezzi, forza lavoro del soggetto passivo idonei a costituire, al superamento, quell’”autonomia” dell’organizzazione programmata dall’agente dell’attività imprenditoriale; o l’applicazione di differenze di aliquote per tener conto delle diversità, sostanziali e non formali, tra le diverse categorie di soggetti passivi.

Anche in materia Iva, la tassazione di attività economiche al di sopra di una certa franchigia potrebbe costituire una soluzione che non troverebbe ostacoli, sul piano sistematico ed europeo, visto che per finalità di semplificazione, equità, coerenza e controllo, sono già ammessi regimi di “non applicabilità” dell’imposta (eurounitaria) per volumi d’affari entro limiti precostituiti (regime dei forfettari) e/o nei casi di applicazione di reverse charge . Il reddito imprenditoriale unitario (imprese/professionisti) sarebbe anche il linea con il concetto europeo di esercizio d’impresa che riguarda chiunque eserciti un’attività economica per scambio di beni e/o servizi, indipendentemente dallo status giuridico e dalla modalità di finanziamento.

Un’altra “faccia della luna” da osservare, leggendo la motivazione della sentenza sulle Stp, per sperare in una revisione e semplificazione, coerente ed equa, dei criteri di qualificazione del reddito d’impresa da porre al centro dell’annunciata riforma fiscale.