Il CommentoProfessione

Per i professionisti non basta un’indennità

Le 500mila domande rendono ineludibile il dibattito su come uscire dallo stato di minorità

L’emergenza Covid-19 ha portato allo scoperto un mondo professionale drammaticamente fragile. Al di là di tutte le statistiche elaborate sui redditi medi dalle Casse di previdenza, magari articolate per età e per distribuzione territoriale e per genere, la corsa attraverso i canali internet per il bonus di 600 euro ha reso in modo plastico l’instabile equilibrio economico su cui si reggevano gli studi prima del Covid-19. Un equilibrio spazzato via dalla chiusura forzata e dalle difficoltà di una parte della clientela a tener dietro ai pagamenti. Le domande per l’indennità di 600 euro presentate dai professionisti iscritti alle Casse private sono state di poco inferiori a 500mila rispetto a circa 1,2 milioni di liberi professionisti iscritti.

Da questo spaccato occorre partire. Perché è, in qualche modo, una contraddizione in termini che i lavoratori della conoscenza, coloro che hanno skill e competenze che dovrebbero metterli al riparo da forme di marginalità economica, in realtà si ritrovino nella lista di chi ha bisogno di un sussidio. La politica, i vertici di categoria, le rappresentanze professionali comprese le Casse non possono più eludere il tema. Circa la metà dei liberi professionisti dichiara e vive di un reddito – visto che non si può superare il problema attribuendolo a forme di nascondimento fiscale che pure ci saranno – inferiore a 50mila euro, più o meno come un impiegato del privato di medio livello. Con questo gruzzoletto il professionista deve alimentare un’attività professionale: strumentazione informatica, formazione, gestione di studio. Troppo poco per un’attività che deve stare sul mercato.

Occorre, al di là del sostegno al reddito, aprire un dibattito su come il settore professionale possa uscire da questo stato di minorità economica e di solitudine professionale. Una solitudine che si paga a caro prezzo in momenti di difficoltà, per esempio nel caso di malattia, di problemi familiari o ancora nel caso di shock economici, di cui il Covid rappresenta senz’altro una punta inimmaginabile solo tre mesi fa.

Non ci sono soluzioni pret à porter: si è perso tanto, troppo tempo dietro alla discussione sulle società e sui rischi del socio di capitale, come se non fosse un azzardo la monocommittenza o un portafoglio clienti di dubbia capacità economica. L’alternativa del network o la strada dell’associazionismo non ha trovato, peraltro, diffusa fortuna. Le politiche di categoria sono sempre state alla larga dalla discussione su come dare respiro economico ai professionisti e solo di recente dalle Casse ci sono stati interventi – ancora troppo limitati e timidi – nel solco del cosiddetto welfare attivo, per aiutare gli studi a crescere di reddito e di fatturato. Non basta un’indennità – purtroppo – a mettere gli studi nelle condizioni di poter pianificare attività e sviluppo. Occorrono premialità e finanziamenti. Ne va dei professionisti, ma anche dell’offerta innovativa di servizi.