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Immobili valutati con il criterio catastale nella divisione: la conferma della Cassazione

La pronuncia 27692 chiarisce che ai fini tributari l’atto ha natura dichiarativa e non traslativa

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di Angelo Busani ed Elisabetta Smaniotto

La divisione, ai fini tributari, è un atto di natura dichiarativa e non traslativa e, quando ha per oggetto beni immobili, se ne deve operare la valutazione secondo il criterio catastale: è questo il principio di diritto enunciato nell’ordinanza di Cassazione n. 27692 del 3 dicembre 2020. La pronuncia è assai importante per almeno tre ragioni:

a) in primo luogo, perché si tratta di una decisione che, prendendo espressamente atto della sentenza della Sezioni unite n. 25021/2019 (qui commentata), nella quale è stata affermata – sotto il profilo civilistico – la natura “traslativa” della divisione, afferma che, ai fini tributari, la divisione è da considerare avente natura dichiarativa (ne consegue l’applicazione dell’imposta di registro con l’aliquota dell’1 per cento e non le più onerose aliquote proprie degli atti aventi natura traslativa);

b) in secondo luogo, perché ben distingue il caso in cui si applica il sistema di valutazione noto come “prezzo-valore” (che è la valutazione catastale degli immobili abitativi, applicabile su istanza della persona fisica acquirente a seguito di un atto di natura traslativa) dal caso della divisione avente a oggetto beni immobili (di qualsiasi natura), i quali si valutano – fatta eccezione per le aree edificabili – moltiplicando la rendita catastale per il relativo coefficiente di aggiornamento, senza che il contribuente debba effettuare alcuna istanza;

c) in terzo luogo perché mette la parola fine al dubbio se i beni immobili oggetto di divisione si debbano valutare con il sistema di valutazione catastale o secondo il loro valore venale.

La posizione delle Entrate

Che quest’ultima questione fosse in dubbio, lo dimostrano sia l’avviso di accertamento impugnando il quale la questione è giunta al giudizio della Cassazione definito con la decisione in commento, sia, da ultimo, la risposta a interpello n. 534/2020 , ove l’agenzia delle Entrate ha sostenuto che, per la valutazione degli immobili oggetto di divisione, deve farsi «riferimento al valore venale in comune commercio dei suddetti beni alla data della divisione e non al valore catastale», senza minimamente menzionare il fatto che il potere di accertamento del fisco è paralizzato da una dichiarazione di valore degli immobili pari o superiore al loro valore catastale.

Che la divisione di immobili (diversi dalle aree edificabili) si possa effettuare secondo il loro valore catastale lo si desume chiaramente sia dalla normativa in tema di imposta di successione (all’articolo 34, comma 5, Dlgs 346/1990), sia da quella in tema di imposta di registro (articolo 52, comma 4, dpr 131/1986), ove viene sancito il principio per il quale l’ufficio perde il potere di rettifica del valore dichiarato in misura pari o superiore al valore che si ottiene moltiplicando i redditi catastali.

Si tratta di un principio che non è stato disattivato dall’introduzione della normativa sul prezzo-valore (articolo 1, comma 497, legge 266/2005) in quanto essa ha eliminato la valutazione catastale solamente per le «cessioni di immobili … diverse da quelle» per le quali si applica il “prezzo-valore”: essendo di tutta evidenza che la divisione non è una “cessione” (come confermato dall’ordinanza 27692/2020), a essa si deve applicare, dunque, la valutazione catastale, senza che il fisco possa effettuare accertamenti di valore in ordine agli immobili che siano dichiarati di valore pari o superiore a quello risultante dalla moltiplicazione della rendita catastale per i relativi coefficienti di aggiornamento.