Il CommentoDiritto

Aggio, consulta troppo timorosa

di Enrico De Mita

Sul «compenso di riscossione» a percentuale la Corte costituzionale ha evitato di prendere posizione, nonostante le evidenze della non inammissibilità di molte ordinanze di rimessione e della manifesta fondatezza delle questioni poste. La Ctp Venezia, con l’ordinanza del 29 marzo 2019, pubblicata in Gazzetta il 15 luglio 2020, ritenta di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17 Dlgs 112/99, per contrasto con gli articoli 3, 23, 53, 76 e 97 della Costituzione.

I giudici remittenti si trovano a dover decidere un ricorso vertente proprio sui compensi di riscossione determinati sulla somma iscritta a ruolo nella cartella impugnata.

I compensi di riscossione sono richiesti dall’Agente della riscossione ai sensi della norma citata, nella sua versione (pre)vigente: l'attività degli agenti della riscossione è remunerata con un aggio, pari al 9% (8 ex Dl 95/12) delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora e che è a carico del debitore in misura parziale se il pagamento avviene entro il 60° giorno dalla notifica della cartella; integralmente nel caso contrario. Troppo spesso la stessa Corte sbrigativamente ha preferito non decidere (65/2018; 147/2015), scegliendo la facile via della declaratoria di inammissibilità.

Nel contempo, con una norma – non ancora attuata – il legislatore con il Dl 201/11 e Dl 95/12, ha definito i criteri che disciplinano i costi fissi suscettibili di rimborso. Il “nuovo” testo aggrava l’incostituzionalità del vecchio articolo 17, comma 1.

Stando così le cose, l'intervento di sollecitazione a pronunciarsi alla Corte, appare quanto mai opportuno e ben impostato. Il giudice remittente ritiene che la norma scrutinata vìoli i seguenti principi costituzionali:

articolo 3, comma 1, della Costituzione perché l'aggio percentuale, in assenza di un tetto massimo e minimo (su cui vedi la sentenza 480/93 su i concessionari operanti in Sicilia) è disancorato dal costo della prestazione del servizio riscossione, irragionevole, privo di causa, e crea un’obiettiva e ingiustificata disparità di trattamento, a maggior ragione tenuto conto che esso matura anche su interessi, sanzioni e costi di notifica;

articolo 23 della Costituzione, in quanto il compenso di riscossione è prestazione patrimoniale imposta senza alcuna delimitazione, invece necessaria (in tal senso sentenze 72/1969; 507/1988);

articolo 53 della Costituzione, in quanto l'imposizione del compenso di riscossione non è commisurata alla capacità contributiva, trasformando le imposte in indici di ricchezza;

articolo 76 della Costituzione, per violazione dei limiti della legge delega 337/98 che ancorava i compensi «alle somme iscritte a ruolo effettivamente riscosse, alla tempestività della riscossione e ai costi della riscossione»;

articolo 97, comma 1 della Costituzione per il contrasto con imparzialità e il buon andamento della Pa.

La fattispecie concreta, nel caso di specie, è ben determinata: il ricorso concerne proprio la legittimità costituzionale dell'applicazione dei compensi di riscossione. La rilevanza e ammissibilità della questione non dovrebbe essere discussa.

La Corte, con la richiamata sentenza 480/93 ha già stabilito che la misura dell’aggio deve ritenersi costituzionalmente legittima, se è contenuta in un importo minimo e massimo che non superi di molto la soglia di copertura del costo della procedura. I compensi di riscossione non possono prescindere, per essere ricondotti a ragionevolezza, dai criteri di congruità rispetto ai costi medi del servizio (si veda anche Consiglio di Stato 272/2008).

La stessa sentenza 480/93 della Corte consente di ribadire alcuni principi cui deve conformarsi la disciplina dei compensi degli agenti di riscossione:

1) il contribuente deve vedersi imporre costi ai quali abbia dato causa con il suo inadempimento tributario;

2) i costi devono essere ancorati al costo del servizio tra un tetto minimo e massimo;

3) devono essere rimosse rendite di posizione prive di alcuna giustificazione causale.

Quest’ultima ordinanza offre alla Corte un’occasione compiuta di entrare nel merito e rimuovere tale irragionevole istituto, violativo anche dei limiti posti dalla legge delega, e conservativo di una approccio alla gestione della riscossione che illegittimamente confligge con il principio di capacità contributiva.