Controlli e liti

Dichiarazione infedele, soglia del reato sui redditi dei soci

La Cassazione sembra rivedere il precedente orientamento

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di Antonio Iorio

In presenza di società di persone la sussistenza del reato di dichiarazione infedele dei redditi va verificata quantificando l’imposta evasa da ciascun socio e non complessivamente considerando i redditi sottratti dalla società.

A fornire questa interessante interpretazione è la Corte di cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 31195/2020 che sembra rivedere il precedente contrario orientamento dello scorso anno (sentenza 19228/2019)

Un tribunale del riesame confermava una misura cautelare per il reato di dichiarazione infedele (articolo 4 del Dlgs 74/2000) ascritto ai soci/amministratori di una Sas succedutisi negli anni. Nel ricorso per cassazione gli indagati lamentavano, tra l’altro che il tribunale del riesame non avesse svolto alcuna analisi dei redditi e della conseguente asserita evasione in capo ai singoli soci.

La Suprema Corte pur respingendo il ricorso ha svolto un’interessante disamina del delitto di dichiarazione infedele in presenza di violazioni commesse da società personali. Tali società non sono soggetti Ires. I redditi sono dichiarati quota parte dai soci che versano la relativa Irpef. In caso di contestazione a queste società di maggiori redditi, si pone il dubbio se il rappresentante legale risponda del reato di dichiarazione infedele quando la soglia di imposta evasa superi quella penalmente rilevante, calcolandola come somma dell’Irpef non dichiarata dai singoli soci, ovvero soltanto considerando l’Irpef non dichiarata nella propria dichiarazione quale persona fisica/socio. Secondo la sentenza, il reato di dichiarazione infedele può essere integrato anche mediante la presentazione della dichiarazione in nome della Sas, però, in tal caso, l’imposta sui redditi evasa deve essere calcolata avendo riguardo al reddito dei singoli soci.

La decisione della Suprema Corte è pienamente condivisibile e, si spera, possa ritenersi superato il precedente contrario orientamento espresso nella sentenza n. 19228/2019. In tale occasione la Cassazione evidenziò che le norme incriminatrici trovavano applicazione, oltre che in caso di coincidenza tra soggetto attivo e contribuente persona fisica, anche nei confronti di chi opera nella qualità di amministratore così da riferirgli la dichiarazione dell’ente. Di conseguenza la finalità di evasione avrebbe dovuto riguardare anche il soggetto giuridico nel cui interesse si agisce. Pertanto per la dichiarazione infedele, presentata da chi amministra una società di persone, si imponeva una valutazione unitaria della imposta evasa, anche ai fini della verifica della soglia di punibilità.

Ora invece la differente decisione è correttamente basata sulla normativa fiscale in tema di redditi conseguiti dai soci delle società personali. Da notare che la differenza non è di poco conto: riferendosi alle singole dichiarazioni dei soci, per configurarsi il reato, ciascuna di esse deve sottrarre a tassazione almeno 100mila euro di Irpef; riferendosi, invece, alla dichiarazione della società l’importo è complessivamente determinato.

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