Professione

Parcelle, nuovi dubbi sulla prededuzione nel concordato

Due recenti sentenze della Cassazione rimettono in discussione il principio consolidato circa i compensi professionali

di Fabio Cesare

Con due pronunce a distanza di pochi giorni, la Cassazione rimette in discussione il principio della prededuzione dei compensi professionali nel concordato preventivo.

La sentenza 639/2021 sancisce che il credito del professionista che ha presentato la domanda di concordato preventivo dichiarata inammissibile o rinunciata, non è prededucibile nel successivo fallimento. Al contrario, la pronuncia 1961/2021 sancisce che il credito maturato dal professionista in pendenza del termine assegnato dal tribunale a norma dell’articolo 161, comma 6 legge fallimentare ha carattere prededucibile nel fallimento anche se la domanda è dichiarata inammissibile.

La prima pronuncia richiama risalenti principi collegati all’utilità della prestazione, imponendo di considerare funzionali ex articolo 111 legge fallimentare le sole attività che hanno determinato l’apertura della procedura: il decreto d’inammissibilità o la rinuncia non producono infatti l’effetto che l’imprenditore intende conseguire, pertanto essi privano i compensi del nesso di strumentalità che la legge impone di considerare come presupposto per il riconoscimento della prededuzione.

Secondo la Cassazione, la funzionalità non può essere ampliata fino a ricomprendere anche il mero tentativo di conseguire il risultato utile poi non raggiunto. Diversamente si favorirebbe l’accesso a procedure di concordato meramente strumentali e prive di concrete possibilità di accoglimento. Pertanto i compensi di tutti i professionisti sarebbero da considerarsi prededotti a condizione che la procedura sia stata aperta.

La seconda sentenza recepisce il diritto fino a oggi vivente, stabilendo che non osti al riconoscimento della prededuzione la circostanza che il concordato sia stato dichiarato inammissibile. Si tratterebbe di un effetto automatico poiché il credito professionale costituisce atto legalmente compiuto ex articolo 161 comma 7 legge fallimentare dall’imprenditore che deve dotarsi di un attestatore per il deposito della domanda.

La prima pronuncia, a oggi isolata, considera solo i crediti sorti in funzione e non in occasione della procedura di concordato: i primi sono maturati prima del deposito del ricorso nel registro delle imprese, mentre i secondi si originano successivamente. Secondo la prima sentenza, in pendenza della procedura il debitore può compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione connessi all’ordinaria gestione dell’impresa non gravandolo di ulteriori debiti: in tal modo la sentenza esclude i crediti professionali dalla prededuzione, poiché non rientrerebbero nella definizione. Tuttavia, nel concordato occorre un’assistenza qualificata per rendere edotto il debitore degli atti che può compiere, senza i quali non si può ipotizzare un corretto svolgimento della procedura.

Inoltre, l’ammissione non attribuisce una sicura patente di utilità per i creditori e per l’impresa, potendosi arrestare la procedura anche in seguito per effetto della revoca del concordato, per la mancata approvazione o per una rinuncia successiva. Infine, la prima pronuncia si riferisce a tutti i professionisti, anche ai compensi dell’attestatore: il che dovrebbe essere escluso perché l’indipendenza di quest’ultimo verrebbe meno laddove questi avesse un interesse diretto all’apertura del concordato dal quale discenderebbe la migliore graduazione del credito professionale.

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