Contabilità

Transfer pricing, in bilancio gli aggiustamenti di fine anno

Le strategie per riportare l’indicatore Tp nel range di libera concorrenza. Bocciate le rettifiche dalla Cassazione ma la posizione è dubbia

di Diego Avolio e Luca Lavazza

L’emergenza sanitaria Covid-19 avrà inevitabili impatti sulle policy di transfer pricing di molte imprese, tra questi la necessità di effettuare «aggiustamenti» di fine anno per riportare all’interno del range di «libera concorrenza» l’indicatore finanziario relativo alla metodologia di transfer pricing applicata dal gruppo.

La Cassazione

Va detto che la tematica degli «aggiustamenti» di fine anno non è affrontata espressamente dal legislatore nazionale, né ai fini delle imposte sui redditi, né ai fini Iva. Dal canto suo, la Corte di cassazione avrebbe (per così dire) bocciato tali rettifiche (pronunce 7 novembre 2018 n. 28337 e n. 28338 e 13 luglio 2012 n. 11949). A seguire il ragionamento della Suprema Corte, le imprese non avrebbero altra alternativa, se non quella di fissare ex ante i prezzi ritenuti conformi al principio di «libera concorrenza».

Si tratta di un orientamento fortemente criticabile, dal momento che gli «aggiustamenti» di fine anno, operati come rettifica dei prezzi applicati medio tempore, come pure come «aggiustamento del margine», lungi dal rappresentare una manovra elusiva, servirebbero proprio per garantire il rispetto dell’arm’s length principle.

Gli aggiustamenti di fine anno

Al fine di evitare contestazioni e problematiche di doppia tassazione lo EU Joint Transfer Pricing Forum (Report on compensating adjustments, 2014) raccomanda che le rettifiche di fine anno vengano previste contrattualmente e vengano rilevate, ai fini contabili, da entrambi i soggetti coinvolti nell’operazione.

Qualora la correzione di fine anno sia di segno positivo (variazione in aumento) e legata a precedenti cessioni di beni o prestazioni di servizi, è necessario rettificare la base imponibile Iva.

Infatti, tutte le volte che, successivamente all’emissione della fattura o alla registrazione, l’ammontare imponibile di un’operazione o quello della relativa imposta viene ad aumentare, bisogna integrare la base imponibile e l’imposta. Per la variazione in aumento si tratta di un obbligo e non di una facoltà.

Per le correzioni di fine anno di segno negativo, invece, ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del Dpr 633/1972 «il cedente del bene o il prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19, l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25». Si tratta, quindi, di un diritto e non di un obbligo: la variazione in diminuzione può essere legittimamente operata anche solo documentando l’ammontare della correzione monetaria, senza intervenire sull’imposta (cosiddetta «nota di credito fuori campo Iva»).

Le note di variazione

Le regole tecniche previste per l’emissione e la ricezione delle fatture elettroniche in formato XML attraverso il Sistema di interscambio (Sdi) sono applicabili anche alle note di variazione. Si ricorda che la risposta a interpello n. 172/2019 ha chiarito che la facoltà di emettere le note di variazione tramite Sdi è riconosciuta solo al cedente/prestatore. Di converso, le richieste, da parte del cessionario/committente, non possono essere gestite tramite Sdi.

In ogni caso, saranno fuori dal campo di applicazione dell’Iva gli «aggiustamenti» di fine anno (ad esempio del margine operativo della parte testata) che non hanno un legame diretto con le prestazioni di servizi e le cessioni di beni scambiati tra le parti e che non costituiscono il corrispettivo di «un obbligo di fare, di non fare o permettere».

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