Imposte

Patent box, doppio bonus per la ricerca. Arriva la stretta per le liti sulle cartelle

Definito l’emendamento che consente di cumulare la maxi-deduzione al 90% con il credito d’imposta R&S<br/>

di Marco Mobili e Giovanni Parente

La maxi deduzione del 90% del nuovo patent box si potrà cumulare con il credito d’imposta in ricerca e sviluppo. Sarebbe questa la soluzione su cui Governo e maggioranza potrebbero trovare nelle prossime ore un’intesa per superare gli emendamenti soppressivi del nuovo patent box introdotto dal decreto fisco lavoro in discussione al Senato. Il correttivo verrà depositato nelle prossime ore e poi votato dalle commissioni Finanze e Lavoro di Palazzo Madama, comunque sia entro il prossimo 30 novembre. Entro quella data, infatti, i contribuenti che hanno autoliquidato la detassazione 2020 del vecchio patent box con tutta probabilità sarà accompagnato da un comunicato stampa per consentire ai contribuenti di poter esercitare l’opzione nella dichiarazione dei redditi entro fine mese. Con il correttivo in arrivo, infatti, le norme del decreto fiscale su marchi e brevetti “più favorevoli al contribuente” dopo la revisione del Parlamento, decorrono dal 12 ottobre, entrata in vigore del decreto fiscale collegato alla manovra, e non dalla data della legge di conversione successiva al 30 novembre.

La soluzione allo studio consentirebbe di agevolare gli investimenti in ricerca sui beni già esistenti con il credito d’imposta e di sostenere la ricerca sui nuovi beni immateriali con la superdeduzione, che entrerà in gioco per abbattere i redditi prodotti.

Tra gli ultimi nodi da sciogliere c’è l’estensione delle due agevolazioni ai marchi. Da una parte più ortodossa questi beni immateriali andrebbero esclusi per restare in linea con le regole comunitarie. Per una parte più eterodossa, al contrario, i marchi dovranno restare così come già prevede l’articolo 6 del decreto fisco lavoro.

Ma non c’è solo il patent box. Con due emendamenti dei relatori Emiliano Fenu (M5S) e Donato Laus (Pd) si profilano, invece, la stretta sulle liti contro le cartelle e la rimessione nei termini per versare gli importi dovuti per gli avvisi bonari rimasti sospesi nel 2020 a causa del Covid. Arriva, infatti, lo stop alle impugnazioni degli estratti di ruolo (l’elenco dei debiti del contribuente da recuperare con le cartelle) che, come anticipato dal «Sole-24 Ore» del Lunedì del 1° novembre, ha riguardato lo scorso anno oltre il 40% dei ricorsi complessivi contro gli atti della riscossione. Ma la limitazione è addirittura più ampia, perché la possibilità di contestare la notifica non valida di un ruolo o di una cartella in Commissione tributaria è circoscritto alla dimostrazione in giudizio che dall’iscrizione a ruolo possa derivare un pregiudizio per la partecipazione a gare d’appalto, o dalla possibilità di ottenere crediti vantati nei confronti delle Pa per effetto delle verifiche preventive sulla presenza di debiti a ruolo per i pagamenti oltre 5mila euro, o per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione.

Sugli avvisi bonari in scadenza tra l’8 marzo e il 31 maggio 2020 e i cui termini erano stati sospesi per l’emergenza Covid si punta a riaprire i termini di versamento a beneficio di chi aveva saltato la deadline ultima del 16 settembre o, in caso di pagamento rateali, il 16 dicembre 2020. L’emendamento dei relatori vuole, infatti, consentire il “recupero” entro il 16 gennaio 2022 senza sanzioni e interessi o in quattro rate mensili di pari importo a decorrere da gennaio 2022 con scadenza il 16 di ciascun mese.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©