Imposte

Assegnazione di immobili e riserve da annullare: la gestione contabile incide sulla tassazione

Il prelievo su soci e società varia in funzione della tipologia di riserve. L’Oic non ha individuato criteri di contabilizzazione; mentre il Cndcec rimanda al valore attribuito in sede assembleare

di Stefano Vignoli

Le conseguenze fiscali dell’assegnazione agevolata di immobili ai soci riproposta dalla legge di Bilancio 2023 richiede, rispetto alle precedenti edizioni, di verificare con maggiore attenzione le conseguenze dell’annullamento di riserve in sospensione attesa la diffusa adesione alla rivalutazione ex articolo 110 del Dl 104/2020.

La tipologia di riserve

Nell’assegnazione la tassazione in capo a socio e società varia infatti in funzione della tipologia di riserve annullate. L’annullamento di riserve di capitale non comporta tassazione in capo ai soci ma determina la riduzione del costo della partecipazione (circolare 26/E/2016, paragrafo 6.1) che, se diviene negativo, vede i soci tassati per il «sottozero».

Le riserve di utili (se non tassati per trasparenza) sono invece imponibili in capo ai soci (non in regime di impresa) nella misura del 26% ma non determinano variazioni del valore della partecipazione.

Infine, le riserve in sospensione annullate sono soggette ad imposta sostitutiva del 13% versata dalla società ma liberatoria anche nei confronti dei soci assegnatari (circolare 37/E/2016, paragrafo 3.1).

In presenza di riserve in sospensione, l’individuazione delle scritture contabili dell’assegnazione e quindi delle riserve da annullare che possono essere diverse dal valore normale/catastale del bene (circolare 37, paragrafo 1.4) può incidere significativamente sulla tassazione in capo alla società e, indirettamente, anche su quella dei soci.

In pratica, la gestione contabile dell’assegnazione e il conseguente livello delle riserve in sospensione da annullare:

• determina livelli di tassazione variabile della società che versa il 13% in funzione delle riserve annullate;

• può ridurre la tassazione in capo al socio che è determinata, in caso di annullamento di riserve di utili, dal valore normale o catastale utilizzato dalla società per la determinazione della base imponibile al netto degli importi assoggettati a tassazione sostitutiva.

L’Agenzia, con circolare 37/E/2016 (paragrafo 3.2), chiarisce infatti che il socio di società di capitali assegnatario, indipendentemente dall’entità delle riserve annullate, “riceve” un dividendo tassabile dato dal valore normale/catastale del bene al netto della somma degli importi assoggettati a imposta sostitutiva, ovvero:

• dalla differenza tra valore normale/catastale e valore fiscale dei beni assegnati (imposta sostitutiva dell’8% o del 10,5%);

• dall’entità delle riserve in sospensione d’imposta annullate per consentire l’assegnazione dei beni ai soci (imposta sostitutiva del 13%).

L’attenzione si sposta quindi sull’importo delle riserve da annullare in quanto l’Agenzia si limita a chiedere la presenza di riserve disponibili almeno pari al valore contabile attribuito al bene in sede di assegnazione e l’adozione di comportamento contabile coerente con i principi contabili di riferimento (circolare 37 paragrafo 1).

L’Oic non ha individuato criteri di contabilizzazione dell’assegnazione ma sul punto si è espresso il Cndcec che, con documento del marzo 2016, rimanda al valore attribuito al bene oggetto di assegnazione dai soci in sede assembleare, raccomandando l’iscrizione di eventuali plus/minusvalenze e quindi l’annullamento di riserve in misura pari al valore attribuito al bene.

Il valore attribuito al bene

Resta un ultimo punto da chiarire: il valore attribuito al bene deve essere il valore di mercato? Ragioni civilistiche e di par condicio tra soci fanno preferire l’utilizzo di questo valore, tuttavia l’Agenzia non dà indicazioni univoche: se gli esempi individuati al paragrafo 6.1 della circolare 26 prevedono l’annullamento di riserve pari al valore normale, la circolare 8/E/2017 par 5.2 sembra invece sdoganare l’utilizzo del valore di libro.

Anche il documento del Cndcec non rimanda espressamente al valore normale, e il Notariato ritiene legittima l’assegnazione di un bene al valore contabile, ancorché significativamente inferiore al valore di mercato, purché vi sia accordo unanime tra i soci (studio n. 73-2017/T, paragrafo 2.5).

Sullo sfondo resta un quadro piuttosto incerto che, se da un lato apre la porta a soluzioni di ottimizzazione fiscale, dall’altro presta il fianco a possibili contestazioni future indirizzando i contribuenti a preferire ipotesi di estromissione alternative quali la cessione che, logicamente, non determina annullamento di riserve.

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