Controlli e liti

Codice antimafia, resta la distanza

di Alessandro Galimberti

Una frecciata a Renzi, una alla magistratura e un segnale alle imprese. Il palco della Sala Bianchi di via Monte Rosa diventa la tribuna dove il ministro Andrea Orlando si toglie qualche sassolino e lancia misurate ma profonde punzecchiature.

Il tema di confronto è ancora il nuovo Codice antimafia, approvato la scorsa settimana con una coda di polemiche sull’opportunità di usare per corrotti e corruttori gli stessi strumenti di espropriazione forzata in campo da anni contro la mafia. A cose fatte, dopo una gestazione lunghissima del Codice, Orlando era stato attaccato da più parti (il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia aveva parlato di cultura “antimpresa”, con eco nell’opposizione parlamentare), ma ieri il ministro si è visto messo all’angolo anche da autorevoli esponenti delle toghe (Pignatone, Boccassini, Prestipino) scettici sull’estensione “omnibus” della cultura e soprattutto degli strumenti antimafia. Così, dopo aver incassato per un’ora («Se tutto è mafia allora nulla è più mafia», Boccassini; «La mafia è una cosa, la corruzione un’altra» Pignatone) e con ancora nelle orecchie il siluro di Matteo Renzi sul «tabù della proprietà» del ministro, il mite Orlando è passato al contrattacco. «Non pensi l’ex presidente del Consiglio di aver messo Lenin o Proudhon in via Arenula – ha detto –. Il tabù della proprietà l’ho superato nella mia adolescenza. Non ho mai detto di dover infrangere il tabù della proprietà, ma solo che il garantismo scatta di più, rispetto ai diritti, quando c’è sostanza patrimoniale. Ce l’ ho con chi si scopre garantista solo quando si tocca il patrimonio della sua cerchia sociale, non ce l’ho con le Camere penali né con i radicali che hanno una loro coerenza. Sui reati di immigrazione clandestina, tortura, sul sistema penitenziario, invece non trovo così presenti queste voci». Versante magistratura: «Quando ci sono cose che pungono direttamente i giudici – ha detto il ministro ai procuratori accanto a lui – ce le fate tempestivamente notare, se le perplessità sul Codice fossero emerse prima di finire in questo cul di sac sarebbe stato meglio, ma la Procura nazionale e Anm, audite nell’iter, non ci avevano fatto rilievi su questi punti».

Circa la possibilità di un decreto correttivo della “confisca ai corrotti”, Orlando è stato tassativo: «Non abbiamo mai usato decreti nel penale, semmai faremo un monitoraggio serio, e se emergeranno criticità utilizzeremo uno dei veicoli normativi in itinere». Fermezza, spiega, perché «la corruzione oggi rischia di diventare il pretesto per interventi di carattere autoritario, combatterla significa difendere lo stato di diritto e le istituzioni da un’aggressione». E a proposito di codice e corruzione, Orlando ha rivelato che si è opposto al pagamento di una maxiparcella da 5 milioni a un avvocato amministratore giudiziario a Palermo. Giusto per sottolineare che i valori dell’antimafia valgono anche nei confronti di chi ne porta la mostrina.

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