Impatriati anche per il rientro dal distacco se c’è discontinuità
La sentenza 3640/20/2022 della Cgt Lombardia: sì al regime agevolato per il lavoratore che ha iniziato a svolgere un’attività, diversa dalla precedente, e ha sottoscritto un nuovo contratto
Dopo le rigide prese di posizione dell’agenzia delle Entrate in merito all’applicazione del regime degli impatriati previsto dall’articolo 16 del Dlgs 147/2015 nei confronti dei soggetti distaccati, si sta invece formando un orientamento della giurisprudenza di merito a favore dei contribuenti purché, al rientro in Italia, il soggetto svolga una nuova attività diversa dalla precedente antecedente il distacco. In questo senso si pronuncia la sentenza 3640/20/2022 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia in linea con la sentenza della Ctp Milano n. 1479 del 25 maggio 2022.
Il tema è molto sentito dagli operatori in quanto secondo l’Agenzia (circolare 17/2017) il regime fiscale agevolativo previsto per i lavoratori impatrati – vale a dire la tassazione sul 30% del reddito imponibile, ovvero sul 10% in presenza di particolari condizioni, per coloro che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia, dopo essere stati non residenti nel nostro Paese per almeno i 2 anni precedenti al trasferimento e che si impegnino a restare in Italia per almeno 2 anni - non può essere applicato nei confronti dei soggetti che rientrano in Italia a seguito di un distacco. L’esclusione dall’agevolazione per questi soggetti si giustificherebbe con il fatto che il rientro degli stessi avverrebbe in continuità con il preesistente contratto di lavoro non soddisfacendo, pertanto, la finalità attrattiva della norma.
Negli anni successivi questa presa di posizione restrittiva è stata meglio circostanziata (risoluzione 76/E del 5 ottobre 2018, la risposta 45 del 23 ottobre 2018 e la risposta 492 del 25 novembre 2019) e l’Agenzia ha riconosciuto che si possa valutare, di volta in volta se sussistono i presupposti per applicare l’agevolazione anche nei casi di rientro in Italia dopo un periodo di distacco. In particolare occorre che il rientro non sia una conseguenza della naturale scadenza del distacco ma, invece sia determinato da altri elementi funzionali alla ratio della norma agevolativa.
Con la successiva circolare n. 33 del 28 dicembre 2020, al paragrafo 7.1, l’Agenzia ha invece precisato che per riconoscere l’agevolazione fiscale in parola è necessario che la «nuova» attività lavorativa che verrà svolta dal lavoratore dipendente al suo rientro in Italia, ovvero il nuovo ruolo aziendale, consegua dalla sottoscrizione di un «nuovo» contratto di lavoro, diverso dal contratto in essere in Italia prima del distacco. Secondo l’Agenzia costituiscono elementi di continuità anche in presenza di un «nuovo» contratto di lavoro e di un «nuovo» ruolo aziendale, le ipotesi in cui, al rientro, vengano mantenuti diritti o trattamenti già accordati in virtù di intese di varia natura. Diversamente, laddove le condizioni oggettive del nuovo contratto (prestazione di lavoro, termine, retribuzione) richiedano un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente, l’impatriato potrà accedere al beneficio fiscale. Questa mancanza di chiarezza sta facendo crescere il contenzioso tra il fisco e i contribuenti che sono infatti obbligati ad impugnare il «silenzio rifiuto» alla richiesta di rimborso della maggiore Irpef versata rispetto a quella dovuta applicando la norma agevolativa.
La sentenza in commento origina infatti dal silenzio rifiuto alla richiesta di rimborso di un contribuente che, dopo quasi 5 anni di distacco in Cina e Giappone, richiedeva all’ufficio la restituzione della maggiore imposta indebitamente pagata rispetto a quella dovuta applicando la normativa sugli impatriati secondo le norme allora vigenti. Si annota che i giudici formulano la propria decisione seguendo l’evoluzione della prassi dell’Agenzia e riconoscendo che la vis attrattiva della norma possa sussistere anche nell’ipotesi di rientro dal distacco purché non ci sia continuità rispetto alla precedente posizione lavorativa. Quindi, considerando la dichiarazione del datore di lavoro in base alla quale: il dipendente al rientro in Italia ha stipulato un nuovo contratto di lavoro e iniziato a svolgere una nuova attività, diversa dalla precedente antecedente al distacco, ha sottoscritto un nuovo contratto di lavoro con mansioni superiori e con retribuzione ed indennità molto più alte rispetto a quelle percepite prima del distacco, secondo i giudici sussistono i requisiti per beneficiare delle agevolazioni per i lavoratori rimpatriati e quindi il diritto al rimborso delle maggiori ritenute fiscali subite.