Il CommentoControlli e liti

Per il socio prova contraria impossibile

di Paola Coppola

Qualche considerazione di sistema per inquadrare gli attuali limiti nell'applicabilità della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in capo ai soci di società di capitali a ristretta base azionaria che trova diverse e contrastanti letture da parte degli uffici e dei giudici.

Si tratta della regola “non scritta” che si origina da una presunzione di matrice giurisprudenziale che i maggiori utili extrabilancio accertati in capo alla società caratterizzata dalla ristrettezza della base azionaria e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo fra i partecipanti (fatto noto) siano stati distribuiti (in nero) ai soci (fatto ignorato) in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione, a meno che il socio non sia in grado di fornire, in fase endoprocedimentale, oppure in giudizio, una valida prova contraria.

Il punto è che nonostante la scarsa vis cogente della ristrettezza della base azionaria che, non solo non trova una definizione in ambito civilistico, ma nemmeno in quello fiscale (a meno di non dover ricorrere agli articoli 115 e 116 del Tuir in cui è regolato il regime opzionale di tassazione per trasparenza), il meccanismo è costantemente “garantito” dal convincimento che «il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci», e dal principio che spetti al socio e/o la società/sostituto d'imposta fornire la prova contraria (vincolata) che si tratti di utili accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti.

Se si riflette, è proprio ciò che viene richiesto al socio a dimostrare l'irrazionalità della regola se non mitigata dalla presunzione rafforzata che si tratti di “ricavi/proventi” in nero (e giammai di costi esistenti, indeducibili) effettivamente percepiti/conseguiti dai soci. La prova “negativa” (di non distribuzione) richiesta al socio non è opponibile, sul piano della tecnica contabile, perché giammai una società che “occulti” utili/proventi imponibili potrebbe accantonarli in una riserva del patrimonio netto (in bilancio) o “investirli” in cespiti patrimoniali senza impiegare, in via palese (e non occulta), una corrispondente contropartita di numerario (cassa/banca/crediti) in quella stessa annualità di controllo/accertamento nella quale si determina per via dell'accertamento “l'imputazione” di quel maggiore imponibile (occulto), in via riflessa, sul socio.

Se la società partecipata avesse maturato utili/ricavi (extracontabili) “accantonandoli in una posta del patrimonio netto” (trattenendoli, quindi) senza tassarli, avrebbe generato riserve di utili in sospensione d'imposta (palesi) che, al pari delle altre riserve di utili (sospesi) sarebbero (ordinariamente) tassabili in capo alla partecipata al termine del periodo di sospensione e di poi, tassabili in capo ai soci, all'atto dell'effettiva distribuzione, secondo le diverse quote di imponibilità (complementari) a quelle di esenzione. Ma se ciò accade, l'ufficio non dovrebbe fare altro che recuperare l'Ires non dichiarata dalla società sul maggior utile “accantonato” nella riserva di utile (palese, non tassata), ma giammai “inferire” che quell' utile extracontabile è stato “trasferito”, visto che è l'ufficio stesso a trovarselo “accantonato” a riserva.

In definitiva, il socio per superare la presunzione dell'avvenuta “distribuzione” di un utile extracontabile (accantonato a riserva o investito in beni patrimoniali) dovrebbe farsi carico di una prova (contraria) negativa (impossibile) per “sopperire” alla violazione/errore metodologico dell'ufficio che, nonostante l'accantonamento in bilancio di riserve di utili (non tassate) o di costi societari sostenuti, ma recuperati a tassazione dovesse, ciò nonostante, ricevere l'accertamento a fini personali, Irpef, della (presunta) avvenuta distribuzione di quel “maggior reddito d'impresa” tassato a fini Ires.

Deve farsi un'altra considerazione di sistema che, a ben vedere, è il fulcro delle principali incertezze che si leggono nelle tante e dissonanti interpretazioni di merito e legittimità. Il parametro di riferimento per stabilire l'ambito soggettivo e oggettivo della presunzione è il regime di tassazione per esenzione (e non per imputazione) che, dal 2003 è quello che va applicato, in luogo del meccanismo del credito d'imposta, per assoggettare ad Ires il reddito d'impresa prodotto dalla società di capitali (ed enti commerciali) che non hanno optato per il regime “di trasparenza” di cui agli articoli 115 e 116 del Tuir.

Per tassare gli “utili da partecipazione” in società ed enti soggetti a Ires ex articolo 44, comma 1, lettera e), del Tuir vanno, applicati e rispettati i criteri di imponibilità per esenzione (limitata) in capo ai soci, secondo le diverse percentuali stabilite in funzione della natura del socio partecipante, così come stabilite dall'articoli 47 (per le persone fisiche) e 89 (per imprese e società) del Tuir (al 95% - con imponibilità del 5% - se il socio è una società di capitali o ente commerciale soggetto ad Ires; al 41,86% - con imponibilità del 58,14% dal 01/01/2008) se si tratta di socio di società di persone o persona fisica che detiene la partecipazione nell'esercizio di un'impresa; con ritenuta del 26% se a percepire gli utili (dopo il 1° gennaio 2018) è una persona fisica che detiene la partecipazione, fuori dall'esercizio di una impresa). La precisazione è dovuta e necessaria per il fatto che, nell'applicazione della presunzione, gli Uffici a volte tassano il maggior reddito accertato in capo alla società a Ires (24%) e poi imputano siffatto maggior reddito – al lordo dell' imposta accertata (e nemmeno al netto) - “pro quota” su tutti i soci della società “a ristretta base azionaria” come se si trattasse di un reddito d'impresa tassabile per trasparenza ex articolo 5 del Tuir (o 115/116) “dimenticando” di aver tassato a fini Ires (24%), quel medesimo maggior reddito, sulla partecipata.

L'errore è molto grave, e genera effetti distorsivi.

Nel sistema di tassazione dei dividendi ed altre poste assimilate (utili da partecipazione) distribuiti da società di capitali non c'è spazio per una “tassazione” aggravata e “per intero” allorquando si applica la regola (non scritta) della presunzione che il maggior reddito (occulto) della partecipata sia stato conseguito/spartito dai soci, visto che l'accertamento del socio “dipende” dall'accertamento sulla partecipata che è già tassata a fini Ires sul maggior reddito accertato all'Ufficio; né c'è spazio per qualificare la tassazione degli utili (occulti) in capo al socio di società a ristretta base azionaria secondo le percentuali di imponibilità applicabili, ratione temporis, una tassazione “ridotta”.

Si tratta solo delle regole (complesse) stabilite, nel nostro ordinamento per evitare (o meglio mitigare) la doppia imposizione economica sul (medesimo) reddito d'impresa che va tassato a fini Ires in capo alla partecipata all'atto della produzione, e in capo ai soci a fini Irpef all'atto della distribuzione che vanno rispettate dalle parti, privata, pubblica e, in caso di dubbio, dai Giudici (tutti).