Imposte

Avviamenti e marchi, la rivalutazione a 50 anni pesa sul patrimonio netto

Forte impatto sulle società che hanno utilizzato la rivalutazione e depositato i bilanci

«I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e buona fede», almeno così dice l’articolo 10 della legge 212/2000, lo Statuto del contribuente che attua i principi di democraticità e trasparenza del sistema impositivo.

Peccato che talvolta il legislatore li dimentichi, come dimostrato dalla modifica apportata dalla legge di Bilancio 2022 (articolo 1, commi 622 a 624) al regime fiscale della rivalutazione di particolari attività immateriali d’impresa (marchio e avviamento), andando ad incidere in peggio sul periodo temporale (da 18 a 50 anni!) entro il quale il maggior valore iscritto nel bilancio potrà essere ammortizzato con valenza fiscale. Ma andiamo con ordine.

La rivalutazione

L’articolo 110 del Dl 104/2020, rifacendosi a precedenti disposizioni normative, aveva consentito ai soggetti Oic adopter di rivalutare i beni (ed i diritti) strumentali d’impresa iscritti nel bilancio dell’esercizio chiuso al 31 dicembre 2019. La stessa normativa consentiva ai soggetti Ias adopter di effettuare i riallineamenti.

Nel caso in cui l’impresa, dopo aver effettuato la rivalutazione, avesse deciso di dare rilevanza fiscale ai maggiori valori, così da poterli dedurre dal reddito, la norma richiedeva il pagamento di una imposta sostitutiva d’importo decisamente modesto (il 3% contro il più recente 12% ed il precedente 16%).

Ma gli aspetti positivi della rivalutazione non si esauriscono qui, estendendosi anche all’ambito civilistico: con l’iscrizione della relativa riserva, l’impresa rafforza infatti il proprio patrimonio netto, così migliorando il rating per l’accesso al credito e precostituendo le condizioni per coprire perdite che potrebbero imporre interventi di ricapitalizzazione immediati o prospettici, una volta terminati gli effetti della normativa emergenziale.

Il cambio di rotta

È di tutta evidenza la convenienza dell’operazione, tant’è che nelle casse dell’Erario sono affluiti fondi maggiori rispetto alle attese. Il successo è stato tale da indurre a paventare il rischio che possa aprirsi una voragine nei conti dello Stato, a causa dei maggiori ammortamenti destinati a ridurre le imposte dovute.

Ecco le ragioni dell’intervento contenuto nella legge di Bilancio 2022, che eleva da 18 a 50 anni (o meglio, periodi d’imposta) il periodo nel quale ammortizzare il maggior valore iscritto.

In alternativa, è sempre
possibile:

1. rinunciare, in tutto o in parte agli effetti della rivalutazione, richiedendo a rimborso l’imposta sostitutiva versata;

2. integrare il pagamento versando una maggiore imposta sostitutiva dal 9 al 13%, in base ai maggiori valori iscritti.

Le conseguenze sui bilanci

Peccato che il legislatore dimentichi che tutto ciò ha un forte impatto sul bilancio 2020 delle società che hanno fatto ricorso alla rivalutazione e che nella stragrande maggioranza - se non nella totalità - dei casi, questo risulta già depositato nel registro delle imprese.

Innanzitutto, l’aumento dell’arco temporale da 18 a 50 anni impone la verifica della ragionevole certezza dell’iscrizione e quindi del recupero delle imposte differite attive che si dovranno iscrivere nel caso in cui si decida di non modificare la vita utile dell’asset.

Ma anche le vie d’uscita alternative creano riflessi sul bilancio in quanto nel caso in cui si opti per il pagamento dell’ulteriore obolo (come detto dal 9 al 13%) occorrerà imputare detto importo alla riserva a suo tempo iscritta con conseguente riduzione del patrimonio netto.

L’ultima alternativa, che passa per il rimborso di quanto già versato, comporterebbe un disallineamento tra valori civilistici e valori fiscali, imponendo la rilevazione in bilancio delle imposte differite passive (Oic 25) che andranno imputate sempre alla riserva di rivalutazione con un effetto negativo sull’ammontare del patrimonio netto.

Per completezza, non possiamo non rappresentare anche una terza teorica possibilità suscettibile di avere implicazioni rilevanti. Si tratta della revoca della rivalutazione dal punto di vista contabile. Una strada disagevole in quanto presupporrebbe il rifacimento del bilancio al 31 dicembre 2020, con l’annullamento di tutti gli effetti della rivalutazione e sottoponendolo nuovamente all’approvazione del board e dell’assemblea dei soci con conseguente nuovo deposito nel Registro delle Imprese.

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