Controlli e liti

Stretta sulle false fatture in regime di reverse charge

Secondo la sentenza 22727 delle Sezioni Unite sanzione più mite solo per le operazioni esenti. Una linea morbida creerebbe un vulnus al sistema di contrasto alle frodi Iva

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Linea dura delle Sezioni Unite sulle sanzioni alle false fatture in regime di reverse charge. Secondo la sentenza 22727 depositata il 20 luglio, la sanzione più mite introdotta nel 2016, nei casi di applicazione dell’inversione contabile ed estesa anche alle operazioni inesistenti, riguarda solo le ipotesi di utilizzo del regime del reverse charge per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta.

Questi, in estrema sintesi, i termini della questione. Il Dlgs 158/2015 ha modificato dal 2016 il regime sanzionatorio tributario, Tra l’altro ha introdotto un comma (9 bis 3) all’articolo 6 del Dlgs 471/1997 sulla violazione degli obblighi di documentazione e registrazione Iva. È stato così previsto che se il cessionario o committente applica l’inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni, sia la detrazione operata nelle liquidazioni stesse, fermo restando il diritto a recuperare l’imposta eventualmente non detratta. La seconda parte del medesimo comma ha poi esteso tale disposizione (recupero dell’Iva) anche ai casi di operazioni inesistenti, prevedendo tuttavia una sanzione dal cinque al dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro.

Il testo normativo però non chiariva se le operazioni inesistenti interessate da questa sanzione ridotta fossero solo quelle trattate in regime di reverse charge ma esenti, non imponibili o comunque non soggette ovvero anche quelle imponibili. La Suprema Corte, inizialmente, aveva adottato una interpretazione restrittiva (16679/2016) ritenendo inapplicabile la sanzione ridotta anche alle fatture per operazioni inesistenti imponibili.

Successivamente (sentenze 32552, 32553 e 32554 del 2019, n. 16367/2020 e n. 38757/2021) era stata affermata l’applicabilità della sanzione a tutte le operazioni inesistenti senza distinzione, e riferite a ipotesi in cui il contribuente avesse applicato il sistema interno dell’inversione contabile.

Da tale contrasto, la necessità di un intervento delle Sezioni Unite, secondo le quali, in sintesi, la norma deve essere interpretata in modo restrittivo. Ne consegue che, in presenza di fatture per operazioni soggettivamente o oggettivamente inesistenti in regime di inversione contabile, la sanzione ridotta riguarda solo i casi di operazioni esenti, non imponibili o non soggette. Mentre trova applicazione l’ordinaria sanzione (attualmente dal 90% al 180%) in caso di utilizzo del reverse charge per operazioni imponibili false.

L’alto consesso giunge a tali conclusioni per il dichiarato timore che un’interpretazione favorevole al contribuente creerebbe un vulnus al sistema di protezione predisposto dall’ordinamento per il contrasto alle frodi Iva. Tale contrasto è infatti obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalle varie direttive comunitarie.

Sicuramente una simile motivazione può condurre ad una interpretazione così severa, occorrerebbe tuttavia considerare che l’inversione contabile è stata introdotta – anche a livello comunitario – proprio per ridurre le evasioni Iva. E infatti una falsa fattura in regime di reverse charge non consente una effettiva evasione Iva, al pari, nella sostanza, delle operazioni esenti o non soggette. Pertanto, se l’obiettivo è il contrasto alle frodi carosello e segnatamente alla falsa fatturazione sarebbe opportuno includere tutte le operazioni fittizie a prescindere dal regime di imponibilità, se invece, come sembra, si debba perseguire l’effettiva evasione Iva, mal si comprende l’esclusione delle operazioni di inversione contabile.

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