Professione

Così la burocrazia blocca i contributi alle imprese

di Giuseppe Latour

La burocrazia dei controlli in materia di aiuti di Stato può rivoltarsi contro pubbliche amministrazioni e imprese. Creando un cortocircuito paradossale: per verificare in maniera rigorosa che le aziende non abusino dei contributi, superando i tetti massimi fissati da Bruxelles, si ottiene l’effetto di bloccare l’erogazione di fondi a imprese che, invece, ne avrebbero tranquillamente diritto.

Al centro della vicenda c’è il Registro nazionale degli aiuti di Stato, operativo dal 12 agosto dello scorso anno, per effetto di un regolamento (n. 115/2017) e di un decreto direttoriale (28 luglio 2017), che ne definiscono i connotati. Si tratta di uno strumento informatico per il controllo e la pubblicità dei contributi ricevuti dalle imprese. Inserendo tutto in una banca dati unificata, anziché disperdere le informazioni, è possibile evitare il cumulo dei benefici e, nel caso degli aiuti «de minimis» (aiuti che sfuggono alla notifica alla Ue, agganciati a un tetto di 200mila euro su un orizzonte di tre anni), è possibile anche scongiurare il superamento del massimale imposto dall’Ue.

Le amministrazioni pubbliche, prima di erogare i loro fondi, possono effettuare uno speciale controllo richiedendo al Registro una visura, che contiene l’elenco dei contributi incassati dall’impresa negli ultimi esercizi. Se questi superano i tetti fissati dalla legge, scatta il blocco. Nel caso degli aiuti «de minimis», i controlli riguardano quella che la legge chiama «impresa unica»: in base alle norme europee (regolamento Ue 1407/2013), è l’insieme delle imprese fra le quali esiste una relazione di particolare vicinanza. Il caso tipico è quello di un’impresa che controlli la maggioranza delle azioni di un’altra o che possa revocarne i membri del Cda. Ma ci sono anche altre ipotesi, dai contorni più sfumati, come quella di «influenza dominante» su un’altra impresa.

Proprio da una di queste verifiche è nato un blocco dei contributi particolarmente anomalo, scaturito da un’interpretazione troppo restrittiva delle regole comunitarie. Ne ha fatto le spese Eurovending srl, controllata da Ivs Group, società quotata, attiva nel settore del food service e dei distributori automatici di cibo e bevande. Di fronte a una richiesta di fondi, si è vista opporre un rifiuto, causato dall’accesso al Registro degli aiuti di Stato.

L’impresa unica alla quale farebbe capo Eurovending, infatti, ha un perimetro che comprende circa 4mila soggetti. Dentro questo calderone c’è di tutto: Brunello Cucinelli, Esselunga, Rcs, Uhu Bostik, Sammontana, Unicredit, Compass, Ubs, la società sportiva Calcio Napoli, San Benedetto, CheBanca, Manifatture sigaro toscano, Mediobanca. E, poi, decine di società dei settori più disparati: costruttori, banche, società immobiliari e, persino, un’agenzia di modelle. Qualcuno di questi soggetti ha già percepito aiuti: per l’esattezza, si tratta di poco meno di 500mila euro, oltre il doppio del limite per il triennio. Il risultato, allora, è che la richiesta di Eurovending è stata bocciata.

Per adesso manca una spiegazione ufficiale del Mise su come sia stato composto questo elenco. L’enigma, però, potrebbe sciogliersi se si considera che il fondo Amber Capital detiene una partecipazione in Ivs Group.  Una partecipazionedi poco superiore al 10% che, evidentemente, è stata considerata rilevante.

Anche se, di fatto, non consente di incidere in nessun modo nella vita della società. A catena, questa interpretazione estensiva ha portato l’impresa unica ad allargarsi a macchia d’olio. Annullando, di fatto, la possibilità di incassare fondi per tutti gli oltre 4mila soggetti inclusi nell’elenco.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©