Diritto

Ai Caf le buste paga dei piccoli

Sentenza 26294 della Cassazione: l’attività di consulenza del lavoro non è esercizio abusivo della professione

di Mauro Pizzin

L’attività di consulenza del lavoro svolta dai centri di assistenza fiscale e affidata loro dalle cooperative delle imprese artigiane e dalle piccole imprese non costituisce reato di esercizio abusivo della professione in base all’articolo 348 del Codice penale «non essendo richiesta per tale attività l’iscrizione all’albo speciale dei consulenti del lavoro».

Con la sentenza n. 26294/2021, depositata il 9 luglio, la VI sezione penale della Cassazione entra nel merito della portata dell’articolo 1, comma 4, della legge n. 12/1979, che regolamenta la professione dei consulenti del lavoro e in base al quale le imprese artigiane e le altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, possono affidare l’esecuzione degli adempimenti spettanti in tutti gli altri casi al consulente del lavoro a servizi o a centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettive associazioni di categoria, servizi che «possono essere organizzati a mezzo dei consulenti del lavoro anche se dipendenti dalle predette associazioni». Una deroga istituita, per i giudici di legittimità, «con l’evidente intento di agevolare dette categorie produttive al fine di ridurre i costi di gestione dei relativi servizi».

Il caso affrontato in giudizio riguardava il titolare di un Centro servizi terziario (Cts) costituito in forma di società in accomandita semplice e facente capo a un’associazione fornitrice di servizi alle piccole imprese associate sia in quanto centro di assistenza fiscale (Caf), sia in quanto centro di servizio di associazione di categoria. Una possibilità, quella di avvalersi delle prestazioni di un Cts, consentita dall’articolo 11 del decreto Finanze n. 164/1999 a condizione che il capitale sociale dello stesso sia posseduto a maggioranza assoluto dalle associazioni o dalle organizzazioni che hanno costituito il Caf, circostanza confermata poi nel corso del processo.

Uno dei punti centrali per la condanna del ricorrente da parte del Tribunale di Bergamo, prima, e dalla Corte d’appello di Brescia, poi, era dato dall’affidamento da parte del Caf di mansioni di assistenza dei datori di lavoro a soggetti giuridicamente distinti e non a propri dipendenti.

La tesi è stata però smantellata dalla Cassazione, secondo cui la normativa in esame non impone che i Cts siano gestiti dalle associazioni di categoria tramite propri dipendenti, ma solo «che detti centri siano controllati dalle associazioni da cui sono stati costituiti», come previsto d’altra parte dall’articolo 11, comma 2, del decreto Finanze già citato.

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