Diritto

Il professionista non può invocare il codice del consumo

Per la Cassazione il soggetto che ha stipulato un contratto in qualità di professionista non può attivare le prerogative di un consumatorie

di Alessandra Caputo

Per i contratti conclusi in qualità di professionista, titolare di partita Iva, non si può invocare il codice del consumo giacché questo è prerogativa dei soli «consumatori», intendendo per tali le persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta. Questo, in sintesi, il principio affermato dalla Cassazione con l’ordinanza 11639/2022.

La vicenda

Il caso era il seguente: a causa di numerosi disservizi, un avvocato aveva citato innanzi il giudice di pace del suo comune di residenza (Pescara) la compagnia telefonica con la quale aveva stipulato un contratto. Il contribuente aveva sottoscritto un abbonamento denominata «partita Iva» ed era, appunto riservato ai soli titolari di partita Iva.

La sottoscrizione era avvenuta dal contribuente in qualità di legale rappresentante del suo studio professionale. Il contratto sottoscritto, inoltre, conteneva una opzione, denominata «partita Iva x 2» che consentiva al contraente professionista di attivare una seconda utenza, diversa da quella della sede sociale e che, il contribuente aveva deciso di attivare presso la propria abitazione.

Il giudice di pace aveva accolto il ricorso presentato dal professionista, ma la società aveva presentato appello reiterando l’eccezione di incompetenza territoriale del giudice adito in quanto, nel contratto stipulato tra le parti, era presente una clausola che attribuiva al foro di Milano la competenza di tutte le controversie sorte in relazione al contratto di telefonia, con esclusione di qualsiasi altro foro. Il Tribunale di Pescara accoglieva questa volta l’appello della società ritenendo fondata l’eccezione sollevata.

L’impugnativa

Il professionista impugnava però la sentenza innanzi la Cassazione deducendo la violazione dell’articolo 33, comma 2, lettera U del Dlgs 206/2005 (Codice del consumo) il quale considera «vessatoria» la clausola che prevede di stabilire come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o domicilio del consumatore.

Si definiscono «vessatorie» quelle clausole che producono uno squilibrio degli obblighi a carico del contribuente e che, per essere valide, devono essere oggetto di specifica pattuizione. Non essendo ciò avvenuto nel caso di specie, il contribuente riteneva tale clausola non valida e, pertanto, riteneva di aver agito correttamente presentando ricorso presso il Giudice di pace del suo comune.

La decisione della Cassazione

I giudici della Suprema corte hanno, invece, ritenuto il ricorso infondato e la motivazione è degna di interesse. Sebbene, infatti, l’utenza per la quale il professionista lamentava disservizi fosse quella domestica e sebbene al momento della presentazione del ricorso l’utenza principale, per lo Studio professionale, era stata disdetta, l’utente era comunque da considerarsi un professionista nell’ambito del contratto sottoscritto, quindi un soggetto non autorizzato ad invocare l’applicazione del «Codice del consumo».

Tale codice è stato emanato con il Dlgs 206/2005 e raccoglie tutta la normativa a tutela del consumatore. L’articolo 3 del decreto precisa che il consumatore, destinatario del provvedimento, è solo la persona fisica che agisce nella sua sfera privata, quindi per scopi estranei all’attività.

Essenziale la qualificazione

I giudici chiariscono che ai fini della qualificazione del soggetto come consumatore o professionista, occorre guardare al momento della stipulazione del contratto, nella irrilevanza delle circostanze successive. Nel caso in esame, risultava evidente che l’opzione relativa all’utenza domestica avesse natura accessoria rispetto a quella professionale e che, senza quest’ultima, non sarebbe stata attivata. Ad ulteriore conferma, i giudici sottolineavano come il documento contrattuale stipulato fosse unico e firmato dal contribuente in qualità di legale rappresentante della società.

Ne conseguiva l’inapplicabilità della normativa specifica per il consumatore e quindi la conferma dell’eccezione di incompatibilità territoriale.

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