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Bonus Sud non indicato nel quadro RU, il Fisco passa al recupero

Nei controlli automatizzati l’Agenzia rileva l’utilizzo di crediti per i quali non rileva alcuna corrispondenza in dichiarazione dei redditi

di Alessandro Sacrestano

L’amministrazione finanziaria ha avviato una campagna di recupero dei crediti d’imposta utilizzati in compensazione dalle imprese, qualora questi non siano stati debitamente esposti all’interno del quadro RU della dichiarazione dei redditi.

Nell’ambito dei controlli automatizzati ex articolo 36 bis del Dpr n. 600/73 l’Agenzia rileva l’utilizzo di crediti per i quali non rileva alcuna corrispondenza in dichiarazione dei redditi. Quando l’impresa beneficiaria oppone al recupero del credito la sussistenza di un provvedimento concessorio, il Fisco insiste nel recupero lamentando l’omessa compilazione del quadro Ru della dichiarazione.
Secondo l’Ufficio il recupero per omessa compilazione del quadro Ru troverebbe supporto nella pronuncia della Corte di Cassazione n. 10867/2022. Analoghe indicazioni, comunque, sono rinvenibili anche nella precedente sentenza n. 34266/2021.

Le indicazioni della Suprema Corte

La pronuncia su cui si basano le considerazioni espresse dal Fisco riguardano il credito d’imposta disciplinato dall’articolo 8 della legge n. 388/2000, ossia la primissima versione del bonus per gli investimenti nel Mezzogiorno.

Nel caso di specie trattato dalla Suprema Corte, un’impresa aveva maturato il diritto automatico alla fruizione del bonus per effetto dell’esecuzione di alcuni investimenti e, riportatolo in dichiarazione nell’anno di sostenimento della spesa, aveva poi omesso di riportarlo in avanti in tutti gli anni successivi in cui aveva utilizzato in compensazione il credito d’imposta. A seguito di tale omissione, l’agenzia delle Entrate dispone prima il recupero delle somme attraverso la comunicazione di irregolarità ex articolo 36 bis del Dpr n. 600/73 e, poi, iscrive a ruolo le medesime somme per la riscossione coattiva. L’impresa, dal canto suo, eccepisce di aver correttamente segnalato al Fisco l’agevolazione nella prima dichiarazione utile e che, comunque, l’omessa compilazione del quadro Ru non poteva costituire causa di decadenza dal diritto.

La posizione del Fisco è avallata in entrambi i giudizi di merito. In particolare, il giudice di secondo grado, richiamando precedenti pronunce della Suprema Corte, le sentenza n. 21588/2015, n. 19627/2009 e n. 34266/2021, evidenzia che la compilazione del quadro Ru deve essere intesa come condizione necessaria per acquisire il diritto al credito d’imposta.

La Cassazione, nel confermare la posizione dei giudici di primo e secondo grado, con la richiamata sentenza n. 10867/2022 ha sostenuto che è legittima la cartella di pagamento emessa sulla base del mero controllo cartolare scaturente dall’omessa indicazione del credito di imposta nel quadro Ru della dichiarazione relativa all’anno di imposta in contestazione.

Con tale pronuncia, gli ermellini hanno seguito il filone di precedenti sentenze, tra le quali la n. 24747/2020, nella quale i giudici di piazza Cavour avevano stabilito che in tema di controllo automatizzato ex articolo 36 bis del Dpr n. 600/73, fosse legittima l’iscrizione a ruolo della maggiore imposta, senza necessità di emettere avviso di accertamento, quando la verifica sia meramente cartolare e non implichi valutazioni, ciò che avviene quando essa si fondi sul solo riscontro obiettivo tra i dati formali contenuti nella dichiarazione dei redditi e le informazioni sul contribuente reperibili nell’anagrafe tributaria e sulle incongruità riscontrate dal suddetto raffronto.
Ancora prima, la corte di legittimità aveva sentenziato (n. 711/2019) che l’indicazione che si richiede al contribuente ai fini della concessione del credito d’imposta nel modello di dichiarazione non è strutturalmente parificabile a una dichiarazione di scienza, attraverso cui far valere un credito scaturente dal fisiologico susseguirsi delle ordinarie poste fiscali riportate nelle dichiarazioni, ma integra un atto negoziale, diretto a manifestare la volontà di avvalersi del beneficio fiscale in ragione dell’affermazione della rispondenza dell’attività svolta alle finalità perseguite dal legislatore. In tal senso, la mancata compilazione del quadro Ru non costituisce dichiarazione di scienza emendabile, ma piuttosto dichiarazione negoziale ritrattabile solo per vizi di volontà riconoscibili.

Il dettato normativo

Nella più recente sentenza della Corte di Cassazione, si discorre come detto del credito d’imposta per i nuovi investimenti nel Mezzogiorno, disposto dall’articolo 8 della legge n. 388/2000. Negli altri precedenti menzionati dalla stessa Corte, comunque, si fa riferimento a diversi altri benefici riconosciuti col medesimo meccanismo della compensazione sui modelli di pagamento F24.

Ebbene, il comma 5 dell’articolo 8 citato si limita a sostenere che «il credito d’imposta è determinato con riguardo ai nuovi investimenti eseguiti in ciascun periodo d’imposta e va indicato nella relativa dichiarazione dei redditi». Analoghe prescrizioni sono riportate nel dettato normativo di altre disposizioni normative di agevolazioni.
Non vi è dubbio, quindi, che il Legislatore abbia in tutti i casi di cui si discorre prescritto l’obbligo di indicazione dei bonus maturati all’interno della dichiarazione dei redditi.

Ciò che, però, il Legislatore non sempre sottolinea sono le conseguenze di un’eventuale omissione; non sempre, però. Infatti, quando il Legislatore ha voluto espressamente sancire la perdita del bonus in conseguenza dell’omessa dichiarazione dello stesso, lo ha chiaramente esplicitato. E’ il caso, ad esempio, del credito d’imposta disciplinato dalla Legge n. 244/2007, articolo 1, commi da 228-232. In tale fattispecie, al comma 229, il Legislatore si è espresso sostenendo che «il credito d’imposta di cui al comma 228, non cumulabile con altre agevolazioni, deve essere indicato, a pena di decadenza, nella relativa dichiarazione dei redditi».
Lo stesso dicasi a proposito delle agevolazioni disposte dalla ormai abrogata legge n. 317/1991 per le quali, all’articolo 11 si leggeva «il credito d’imposta di cui agli articoli 6, 7, 8 e 9 deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel corso del quale è concesso il beneficio».

Non sfuggirà, quindi, che laddove il Legislatore abbia voluto sanzionare in maniera decisa l’omessa compilazione del quadro specifico della dichiarazione dei redditi, lo ha espressamente detto, comminando la decadenza dal beneficio già nel dettato normativo.

La posizione del Fisco

E’ singolare, poi, notare come l’amministrazione finanziaria abbia compiuto un volo pindarico pur di planare sulle posizioni estreme espresse dalla Cassazione.

A proposito delle conseguenze dell’omessa indicazione dei bonus in dichiarazione, nella risposta a interpello n. 47 del 2018, l’Agenzia scriveva: «i ritiene che la mancata indicazione nel quadro Ru del modello dichiarativo relativo al periodo d’imposta nel corso del quale lo stesso è maturato ed in quelli successivi (fino all’anno nel corso del quale se ne conclude l’utilizzo), non sia di ostacolo alla spettanza dell’agevolazione (a differenza di quanto avverrebbe laddove tale indicazione fosse prevista a pena di decadenza, impedendo altresì la presentazione di successive dichiarazioni integrative). Tuttavia, al fine di non vanificare la previsione normativa circa l’obbligo di indicazione in dichiarazione, l’omessa compilazione del suddetto quadro deve essere sanata mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa per ciascun anno di omissione … l’omessa indicazione del credito in dichiarazione costituisce pur sempre una violazione, seppure di natura formale. Alla stessa, quindi, si rende applicabile la sanzione di cui all’articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, oggetto di possibile ravvedimento ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472» .

Questa iniziale apertura del Fisco è poi andata scemando, man mano che si consolidavano le posizioni più rigide da parte della Corte di legittimità.

Le prospettive

La posizione espressa a più riprese dalla Cassazione stupisce per sia per mancanza di ragionevolezza che per incoerenza con gli indirizzi normativi.

In tema di coerenza con gli indirizzi normativi, vale come premessa la considerazione che nemmeno il giudice di legittimità può nella sua autonomia, disporre conseguenze che il Legislatore non ha previsto nell’elaborazione del testo normativo. Come detto, laddove il Legislatore ha voluto sanzionare con la decadenza l’omessa compilazione della dichiarazione, lo ha espressamente fatto; il silenzio espresso in altre circostanze, quindi, è indice della volontà dello stesso di non disporre una conseguenza così grave per una mera dimenticanza formale (così definita dallo stesso Fisco).

Invero, disporre la decadenza di un’agevolazione è contrario ad ogni indirizzo normativo. Si pensi, ad esempio, al tema ricorrente dei crediti inesistenti o non spettanti.

Per quel che concerne la fattispecie del credito d’imposta “non spettante”, ai sensi dell’articolo 13, comma 4 del Dlgs n. 471/1997 viene stabilito che “Nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato”. Orbene, dal dato normativo si evince che, al massimo, gli utilizzi di un bonus esistente con modalità diverse da quelle previste dalla legge può essere punito con l’irrogazione di una sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato.

Per quel che invece attiene alla differente casistica di indebito utilizzo di un credito d’imposta “inesistente”, l’articolo 13, comma 5 del Dlgs n. 471/1997, adoperando una formulazione più articolata della precedente, prevede che: «Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36- bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e l’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633».

Insomma, la revoca di un beneficio è comminata quando manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo dello stesso e non certo per la semplice omessa indicazione nel modello di dichiarazione.

Di qui le considerazioni sulla ragionevolezza di quanto espresso dalla Cassazione e sostenuto dal Fisco. Con tutto il rispetto per le riflessioni sul tema delle «dichiarazioni di scienza» o dell’atto negoziale che integrerebbe la compilazione del quadro Ru esposte dagli ermellini, la revoca di un’agevolazione in capo ad un’impresa che ne ha scrupolosamente seguito l’iter costitutivo (realizzare un investimento per come descritto nel testo normativo) significa privarla di centinaia di migliaia di euro in alcuni casi; e tutto questo per aver mancato di riportare l’agevolazione nel modello di dichiarazione?

Per assurdo, la stragrande maggioranza dei bonus di nuova generazione (si pensi ad esempio a quello disposto dall’articolo 1, commi 98-108, della legge 28 dicembre 2015, n. 208) sono fruibili dalle imprese solo dietro espressa notifica di un provvedimento di concessione da parte del Fisco. L’amministrazione finanziaria, quindi, sa dell’esistenza dei bonus perché è lei stessa che li autorizza. Possibile che la Suprema Corte manifesti un atteggiamento così irragionevole da arrivare al punto di avallare la revoca di un beneficio, legittimamente maturato dalle imprese con il sostenimento di una spesa, autorizzato con espresse decreto preventivo da parte del Fisco, solo per il mancato riporto dello stesso in dichiarazione dei redditi, anche quando il Legislatore che ha istituito il contributo non ha previsto siffatta conseguenza?

Fisco, contribuente e giurisprudenza sono parte di un unico complesso ecosistema che, se gestito con pronunce come quelle in esame, non potrà mai dare luogo ad una perfetta compliance ed il conflitto, di certo, non giova a nessuno.


Questo articolo fa parte del Modulo24 Tuir del Gruppo 24 Ore.

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