I temi di NT+Modulo 24

L’accordo transattivo con prestazioni reciproche è rilevante per l’Iva

Sul tema è importante valorizzare il contesto contrattuale in relazione allo specifico profilo civilistico da cui far derivare il trattamento Iva

di Marco Magrini

È ormai effettivamente complesso riscontrare l'irrilevanza Iva nelle ipotesi in cui le parti pervengono a una transazione di rapporti fra di loro. Anche l’ultimo intervento interpretativo dell’agenzia delle Entrate su questo specifico argomento, con la risposta a interpello 212/2022, conferma quello che ormai nella tesi portata avanti dalla prassi costituisce di fatto un principio di generale applicabilità.

La risposta a interpello 212/2022

Nella risposta la disamina per la soluzione del caso prospettato si lega alle indicazioni emergenti dai principi illustrati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea che, in svariate occasioni, ha affermato che se una prestazione di servizi viene effettuata «a titolo oneroso», essa configura un’operazione imponibile se ricorre la circostanza per cui tra il prestatore e il committente intercorre un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche. In sostanza il compenso ricevuto dal prestatore per la sua prestazione costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al committente beneficiario (sentenza del 16 dicembre 2010, causa C-270/09).

In tale quadro, se la funzione economica della corresponsione stabilita nella pattuizione transattiva, che deriva dall’accordo sottoscritto dalle parti, trova un nesso diretto con una prestazione di servizi resa, la medesima corresponsione assume il carattere di un corrispettivo in regime di rilevanza Iva, con la conseguenza di dover assoggettare a imposta l’operazione fra le parti.

Questo approccio è certamente condivisibile. Tuttavia assume carattere centrale un esame correttamente orientato dal punto di vista civilistico del contenuto dell’accordo che comporta la transazione. Mancando un rigoroso riscontro dell’effettiva esistenza dei presupposti che caratterizzano la corrispettività, secondo le regole Iva tracciate dalla Corte di giustizia Ue, si rischia di sottomettere alla fatturazione in regime di imponibilità Iva erogazioni che non hanno in concreto la funzione di ristorare delle vere e proprie prestazioni.

L’esigenza di una valutazione caso per caso della volontà delle parti

In questo senso occorre quindi riscontrare se e a quali condizioni in concreto risulti l’esistenza della controprestazione in ordine ai principi che possono classificarsi cessioni di beni e/o prestazioni di servizi. In caso contrario, come osservato dalla dottrina (si vedano, per esempio, le obiezioni e criticità evidenziate da Assonime nella circolare 26 del 9 settembre 2021), in assenza di una disamina caso per caso, si potrebbe correre il rischio di dare luogo a fenomeni di indebita fatturazione, con applicazione dell’imposta a operazioni inesistenti e conseguenti contestazioni e sanzioni relative da parte degli organi di controllo.

L’esigenza di approfondire il concreto carattere dell’operazione e quindi la conferma della presenza di una prestazione di servizi rilevante ai fini Iva, non può che derivare dal fatto che:

• prestatore e utente debba intercorrere un rapporto giuridico tramite il quale avvenga uno scambio effettivo di prestazioni (sentenza C-263/15);

• sussista un servizio effettivamente fruibile da parte del soggetto che versa il corrispettivo (sentenze C-384/95 e C-215/94).

Nel caso dell’interpello in esame, la società istante aveva ipotizzato che l’accordo transattivo concluso tra le parti avesse l’esclusiva funzione di quantificare, di comune accordo, l’entità del pregiudizio economico subito e da ristorare a una parte, secondo la provvisoria quantificazione derivata nella fase del giudizio promosso, per cui l’abbandono della lite della società attrice dovesse essere unicamente naturale conseguenza accessoria e strumentale della definizione della lite fra le parti. La somma dovuta transattivamente non doveva pertanto avere natura corrispettiva ma esclusivamente risarcitoria e come tale esclusa dalla rilevanza Iva ai sensi dell’articolo 15 del Dpr 633/1972.

In concreto le basi dell’accordo transattivo partivano dai seguenti presupposti e circostanze:

• tra la società attrice per il giudizio e le parti convenute nello stesso giudizio non sussisteva e non era mai intervenuto alcun rapporto commerciale. Questo comportava l’inesistenza di rapporti sinallagmatici presenti e precedenti che avessero potuto considerarsi alla stregua di operazioni Iva;

• la mancanza di rapporto di fornitura e prestazioni fra le parti e l’inesistenza di pregresse operazioni Iva impediva alla transazione di poter essere qualificata come idoneo titolo giuridico da cui far derivare prestazioni di servizi o variazione di precedenti operazioni già effettuate fra le parti;

• la transazione aveva carattere ed era qualificata fra le parti meramente dichiarativa, non comportante l’instaurazione di un rapporto di natura sinallagmatica tra le stesse parti con assunzione di obblighi di fare, non fare e permettere a fronte di un corrispettivo;

• la transazione disciplinava unicamente la dazione con la relativa funzione economica finalizzata al mero ed esclusivo risarcimento, parziale, del danno da illecito per concorrenza sleale e violazione del know-how, quantificato in termini di minor risultato di esercizio conseguito dall’attrice.

L’agenzia delle Entrate ha invece ritenuto che il pagamento stabilito dall’accordo transattivo, fatto dalla parte convenuta, a fronte dell’abbandono di tutte le domande e pretese, espresse e/o potenziali relative alla lite da parte della società attrice a titolo di lucro cessante e danno emergente, anche non patrimoniale, di interessi e spese, portasse a emersione l’esistenza di uno scambio di prestazioni reciproche.

Quanto versato dalla parte convenuta alla società attrice va a costituire il controvalore dell’impegno assunto dalla medesima società attrice di rinunciare a proseguire il contenzioso instaurato al fine di ottenere il risarcimento dei danni, quantificati in termini di lucro cessante e danno emergente, cagionati alla stessa dalla condotta illecita posta in essere dai soggetti convenuti.

La presenza del sinallagma, riscontrato nella tesi prospettata dall’agenzia delle Entrate, qualifica la prestazione come prestazione di servizi di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della Direttiva 2006/112 e all’articolo 3, comma 1 del Dpr 633/1972, in quanto l’obbligo di non fare, posto a carico della società attrice (tramite l’impegno alla rinuncia alla lite) viene a essere specificamente remunerato tramite l’erogazione a copertura.

In questo quadro è soddisfatta anche l’esigenza in campo Iva che richiede di riscontrare la presenza dei requisiti soggettivo (in capo alla società percettore della somma) e oggettivo in relazione al rapporto innescato dall’accordo transattivo, oltre a quello territoriale. Ne è conseguenza l’imponibilità del corrispettivo ad aliquota ordinaria stante la presenza della remunerazione di un servizio qualificato come generico.

Nel caso specifico non viene riconosciuta la natura dichiarativa della transazione e viene a essere valorizzato il carattere autonomo e novativo della stessa, con la conclusione della prassi per cui le somme percepite in relazione alla conclusione di accordi transattivi sono da considerare prestazioni di servizi soggette a Iva. Questa tesi è perfettamente allineata e costante con quella portata da precedenti risposte a interpello, tra cui si segnalano la 356 e la 401 del 2021.

Sembra così sempre di più tramontare l’ipotesi, peraltro sostenuta dalla società istante nell’interpello 212/2022, per cui se la sottoscrizione dell’accordo transattivo ha ad oggetto e persegue unicamente l’obiettivo di determinare fra le parti il danno subito e il suo risarcimento, con erogazione di una somma a copertura, mancando qualsivoglia prestazione, l’operazione non avrebbe natura di prestazione di servizi e la dazione assumerebbe la natura di prestazione estranea al campo di applicazione dell’Iva come mera erogazione di denaro, secondo lo schema dell’articolo 2 del Dpr 633/1972.

Il fronte interpretativo recente di fatto supera alcune indicazioni orientate a una valutazione meno rigida che si riscontrava, per esempio, nelle risposte a interpello 387 e 178 rispettivamente del 20 settembre e 3 giugno 2019.

Nel secondo documento l’ipotesi che si prospettava militava, più correttamente e prudentemente, verso la scelta di dover porre in essere un’analisi caso per caso della volontà delle parti espressa nell’accordo transattivo, oltre all’effettivo interesse emergente, al fine di stabilire il corretto trattamento Iva della transazione.

Tuttavia, malgrado non vi sia il sostegno delle interpretazioni di prassi dello scorso anno e dell’anno corrente dell’agenzia delle Entrate, la soluzione di un esame puntuale di ogni fattispecie appare comunque ancora quello più sostenibile rispetto all’esigenza di garantire l’applicabilità dei presupposti in campo Iva senza volontarie o involontarie strumentalizzazioni.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore.

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