Imposte

Coworking e riaddebiti, il compenso da tassare penalizza i forfettari

Il riaddebito incassato nel periodo d’imposta successivo concorre all'imponibile e richiede che sia operata la ritenuta

di Paolo Meneghetti

Dalla risposta a interpello 482/22 emerge che, secondo le Entrate, il provento correlato a un costo e incassato in un anno successivo al costo stesso non realizza la fattispecie della sopravvenienza attiva, che in sé sarebbe non tassabile in capo al professionista, ma un vero e proprio compenso tassabile.

Le ragioni che stanno alla base di questa impostazione sono per certi versi comprensibili, nel senso che la simmetria tributaria vuole che, a fronte di un costo dedotto, il provento ad esso correlato abbia rilevanza fiscale. Però ci sono due aspetti che non convincono nella ricostruzione interpretativa dell’Agenzia:

il medesimo importo (cioè il provento da riaddebito), se incassato nell’esercizio di sostenimento del costo, è rilevante come minor costo; se invece incassato in un periodo successivo, diventa un compenso tipico da attività professionale, tanto che sarebbe necessario applicare la ritenuta a titolo di acconto;

il provento incassato in un esercizio successivo a quello di sostenimento di un costo configura l’ipotesi di sopravvenienza attiva che indubbiamente nella determinazione del reddito professionale è componente non rilevante: ciò può sì determinare asimmetrie tributarie, ma per evitarle andrebbe modificato il dato normativo.

I riflessi sul coworking

Il tema trattato nell’interpello, pur non avendo a che fare in senso stretto con la tematica del riaddebito di costi, ha tuttavia delle ripercussioni anche sullo scenario del coworking. Anche in questo caso, infatti, vi sono proventi correlati a costi, e a tutti gli effetti pare configurarsi una sopravvenienza attiva non tassabile; mentre l’Agenzia propende per la tassazione in quanto provento correlato a un costo dedotto. Inoltre, l’Agenzia richiama la precedente risoluzione 356/E/07, in cui si è affermato che la somma erogata che risarcisce il professionista di costi sostenuti in anni precedenti va trattata come un compenso, quindi assoggettato a ritenuta a titolo di acconto (nella stessa direzione la risoluzione 106/10) .

Spostando l’esame dal caso dell’interpello al riaddebito di costi per canoni locativi, utenze e servizi di segreteria, seguendo l’opinabile tesi delle Entrate si arriverebbe a dire che il provento da riaddebito incassato nel medesimo anno di sostenimento del costo va trattato come riduzione del costo stesso, mentre se incassato in anno successivo diviene compenso professionale da assoggettare a ritenuta d’acconto.

Le conseguenze di tale impostazione, qualora il provento da riaddebito sia incassato in un periodo d’imposta successivo al costo, sono duplici, a seconda del regime contabile:

1 nel caso del professionista in regime ordinario, a fronte di un costo dedotto integralmente, viene tassato un provento: il che equivale a dire che, nella sostanza, pur se nell’arco di più periodi d’imposta si avrebbe la deduzione del costo effettivamente rimasto a carico;

2 nel caso del professionista forfettario, invece, emerge interamente l’irrazionalità della tesi del Fisco, in quanto, se il riaddebito fosse percepito nell’anno di sostenimento del costo, non si avrebbe alcuna ripercussione (il costo è comunque irrilevante); mentre, se incassato nell’anno successivo, concorrerebbe a formare il reddito imponibile da quadro LM.

Questo diversa conclusione spinge a ritenere che qualche dubbio sulla razionalità della pronuncia sussiste, e forse sarebbe più opportuno agire normativamente sull’articolo 54 del Tuir, piuttosto che ipotizzare in via interpretativa che ciò che a tutti gli effetti appare come una sopravvenienza diventi un compenso su cui applicare la ritenuta d’acconto.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©