Falso in bilancio
e
reati tributari
senza sovrapposizioni. È quanto emerso ieri nel convegno dedicato a queste tematiche organizzato presso la Sala del Refettorio della Camera dei deputati con il patrocinio anche del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti (Cndcec). All’assist lanciato da Maurizio Leo sui profili di criticità tra le possibili connessioni tra i “nuovi” reati di
dichiarazione fraudolenta
e
infedele dichiarazione
dopo le modifiche dell’attuazione della delega fiscale e il falso in bilancio anche dopo l’estensione di principi di
derivazione rafforzata
e
prevalenza di sostanza sulla forma
, ha risposto il direttore delle Entrate Rossella Orlandi: «Ad oggi sono passati due anni dalle due riforme e ci sono aspetti da chiarire, ma grandissima problematica nell'individuazione dei reati fiscali non ne vediamo. Essendo materie vicine sarebbe comunque stato opportuno fare coordinamento tra due disposizioni che non si sovrappongono e hanno elementi e pene diversi». Di sicuro, ha aggiunto Orlandi, «la differenza tra gli articoli 3 e 4 del Dlgs 74/2000 è di campo: la frode si riferisce a tutti i soggetti a prescindere che siano tenuti o meno alla redazione del bilancio e quindi si amplia, mentre la dichiarazione infedele va in direzione opposta e richiede che ci sia trasparenza e precisione nell'indicazione». Stefano Screpanti, capo del III reparto del comando generale della Guardia di Finanza, spiega come il cambio di strategia delineato dalla delega fiscale si rifletta già sui primi numeri disponibili: «Tra il 2016 e il 2015 c’è un calo del 30% di denunce dei reati tributari concentrato in quelli meno gravi mentre aumenta l'incidenza) per quelli più gravi. E c'è possibilità di recuperare risorse dal contrasto all'evasione vera, alla ricchezza nascosta». Quindi energie e forze in campo concentrate su grande evasione e frodi, mentre sui fenomeni interpretativi più spazio anche alla prevenzione senza dimenticare la chance del
ravvedimento operoso
anche dopo l’inizio dei controlli.
Anche il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri, precisa i confini: «Per quanto riguarda il falso in bilancio e i reati tributari, i beni giuridici sono diversi e quindi non c'è sovrapposizione». Più in generale, con le nuove norme «cambia il ruolo del giudice che davvero deve essere specializzato» ma allo stesso tempo «anche il professionista deve guidare l'amministratore su quei criteri che servono alla corretta redazione del bilancio». Proprio dai professionisti arriva uno stimolo a una maggiore chiarezza: «Il Cndcec si pone nella scia tracciata dalle Sezioni unite - precisa il consigliere Lorenzo Sirch - e auspica che il legislatore definisca il perimetro in cui il bilancio si riveli falso. È necessario ammettere le
soglie di errore
ed eliminare le interferenze tra falso e reati tributari».
Per quanto riguarda i profili strettamente legati al falso in bilancio Michele Vietti, ora professore straordinario presso l’università degli studi internazionali di Roma, ha sollevato la questione se con alcuni dei ritocchi intervenuti nel 2015 in realtà non si sia fatta la faccia feroce per ottenere lo stesso risultato ante modifica ma solo al termine del processo. L’ex Guardasigilli e ora rettore della Luiss, Paola Severino, si è soffermata sia sull’opportunità di mettere in chiaro in nota integrativa le scelte fatte su aspetti dubbi (le «aree grigie» del bilancio) per escludere ogni «finalità ingannatoria» sia sull’importanza della predictability dell’interpretazione giurisprudenziale a cui arrivare attraverso «la s
pecializzazione del giudice
». Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia della Camera, ha invece sottolineato come il
falso valutativo
su cui è stata necessaria una pronuncia a
Sezione unite
per arrivare a un punto fermo dopo la riforma «è un falso problema perché bastava capire la ratio del legislatore per evitare interpretazioni affrettate, incertezze, critiche ingenerose». Da Marina Sereni, vicepresidente della Camera, è arrivato il riconoscimento del peso specifico delle norme sul bilancio introdotte nel 2015 sia per la «salute economica del Paese» sia per il contrasto alla corruzione.