Contabilità

Società, più trasparenza per chi sale nell’azionariato

di Daniele U. Santosuosso

Meglio tardi che mai. È entrata in vigore la normativa “antiscorrerie” con il nuovo comma 4 bis introdotto nell'articolo 120 del Tuf dall'articolo 13 del collegato fiscale ( Dl 16 ottobre 2017, n.148 ): normativa sinora, va detto, ostacolata (è stata introdotta e poi espunta dalla legge sulla concorrenza) da pulsioni politiche tutte interne (vedi la vicenda Vivendi-Mediaset, e i vantaggi che questa ne avrebbe tratto) da cui l'attuale leadership governativa sui temi di sviluppo economico sembra apprezzabilmente affrancarsi.

Al di là del termine riduttivo, la disciplina risponde alla finalità di migliorare il grado di trasparenza nonché di efficienza del mercato del controllo societario e dei capitali, e quindi la consapevolezza degli stakeholders, specialmente in una situazione di volatilità azionaria e, talvolta, di disallineamento tra prezzi di mercato e i valori fondamentali degli emittenti.

La disciplina si inserisce in quella sugli obblighi di comunicazione (alla società partecipata ed alla Consob) in materia di assetti proprietari, che sinora richiedeva (sopra una certa soglia di capitale “votante”, oggi al 3%, e se Pmi 5%) di svelare soltanto le situazioni “di potere” o meglio partecipative tramite il voto (azioni, strumenti finanziari con diritto di voto mirato): in pratica si comunicano identità del partecipante, titolo legale della intestazione, struttura partecipativa (tipo, numero ecc.).

Con la nuova norma, ad ogni soglia raggiunta o superata (10, 20 e 25%) l'acquirente dovrà dichiarare anche, in generale, gli “obiettivi” che intende perseguire nel corso dei sei mesi successivi: sembra (e basterebbe questo per segnarne la portata innovativa) che debbano indicarsi anche le scelte imprenditoriali strategiche industriali e finanziarie, ovviamente collegate alla posizione e alle prerogative di azionista come tale, e quindi non soltanto la misura e le modalità di esercizio del potere che intende avere, ma anche che cosa intende fare con quel potere; una prospettiva che potrebbe inquadrarsi in quella tendenza a rendere più permeabile il confine tra proprietà e management (si vedano i principi di stewardship), ma che sconta le criticità derivanti dalla selettività della trasparenza a protezione dell'impresa.

Inoltre, più specificamente, va indicata una serie di elementi (il cui contenuto spetterà alla Consob dettagliare con regolamento):

- sulla struttura dell'acquisizione (come e da chi è stata finanziata, con chi eventualmente si agisce);

- sui margini di influenza che si vuole esercitare: se si intende incrementare la partecipazione, acquisire (e come) il controllo o comunque una influenza sulla gestione, integrare o revocare gli organi amministrativi o di controllo; quali le intenzioni su eventuali accordi parasociali.

Il cambio di prospettiva rispetto al passato è dunque evidentemente radicale. Ma non si tratta di “nuovi nazionalismi” o di favori a questa o a quella parte politica. La disciplina, che peraltro non è retroattiva, è coerente con il diritto comunitario: la direttiva 2013/50/Ue in materia di obblighi di trasparenza dà facoltà agli Stati membri di definire obblighi più rigorosi di quelli stabiliti dalla direttiva 2004/109/Ce (Transparency directive) anche riguardo al “contenuto” della notifica delle partecipazioni rilevanti. E si ispira ad altri ordinamenti: negli Stati Uniti la Sect. 240 del Securities Exchange Act 1934 prescrive la comunicazione di informazioni in merito ai piani futuri dell'acquirente di una partecipazione significativa in società quotate. In Francia la disciplina sugli elementi informativi da comunicare è persino sostanzialmente la stessa di quella del nostro nuovo comma 4-bis, anche se le soglie di scatto sono più numerose.

Non può nascondersi dunque che, a parte l'esigenza di far competere ad armi pari le nostre imprese, un regime armonizzato garantisce più certezza del diritto, oltre a ridurre gli oneri amministrativi per gli investitori transfrontalieri.

Un'ultima annotazione merita l’articolo 14 del Dl 148/2017, ispirato dall'esigenza di migliorare le forme di tutela degli interessi pubblici (è anche un caso di affinamento “by doing” della normativa, nella specie quella - applicata per la prima volta a Vivendi e Tim - sui golden power). Si introduce infatti una sanzione pecuniaria anche per mancata notifica dell'acquisto di partecipazione rilevante ai sensi dell'articolo 1 del Dl 21/2012. Il caso concreto spiega il paradosso: a Vivendi è stato applicato l'articolo 1 (in ordine agli attivi strategici per il sistema di difesa e sicurezza nazionale) per mancata notifica dell'acquisto di partecipazione rilevante, che non comportava la sanzione pecuniaria; a Tim, controllata da Vivendi, l'articolo 2 (che riguarda gli attivi strategici nel settori dell'energia, trasporti e comunicazioni) per mancata notifica dell'atto (l'assemblea di Tim del 4 maggio dove fu votata la lista “imposta” da Vivendi) i cui effetti hanno determinato il passaggio del controllo a Vivendi, e che comporta la sanzione pecuniaria. Inoltre per i settori energia, trasporti e comunicazioni si rende rilevante non soltanto la minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali dello Stato, ma anche il «pericolo per la sicurezza e l'ordine pubblico»: il che renderà senz'altro meno arduo far valere le prerogative dello Stato.

La modifica alla normativa sulle scalate societarie

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