L’esterovestizione ricade nell’abuso del diritto (e il Fisco deve provarla)
Nel contrasto all’esterovestizione di società ed enti, la prova da parte del Fisco deve essere rigorosa e precisa e deve tenere conto della novità introdotta nell’articolo 7, comma 5-bis, Dlgs 546/1992, applicabile (anche) ai giudizi in corso al 16 settembre 2022. Sono questi i principi espressi dalla Cgt della Liguria 56/1/2023 del 25 gennaio scorso (presidente Cardino, relatore Fanucci): nell’accogliere l’appello del contribuente, ha ritenuto non adeguatamente provata l’esterovestizione della società accertata, avente ad oggetto il noleggio a terzi di aeromobili: la società, secondo i giudici, «era pienamente attiva ed operativa all’estero come risulta dal relativo contratto di affitto, dalle bollette delle utenze, dagli estratti conto bancari, dalle assemblee sociali ivi svolte e dalla corrispondenza e documentazione sociale ivi ricevuta e conservata, dall’assenza di rapporti con banche italiane».
Il tema dell'esterovestizione è stato più volte affrontato nel corso degli ultimi anni dalla Cassazione, all’interno della quale si sono formati due orientamenti.
Nel primo (tra le altre, Cassazione 2869/2013 e 33234/2018, richiamate nella sentenza 7454/2022; 8297/2022; 5075/2023) l’esterovestizione rientrerebbe nel fenomeno dell’abuso di diritto e spetterebbe all’Agenzia dimostrare la artificiosità della localizzazione della società all’estero al fine di ottenere un vantaggio fiscale.
Secondo un diverso, più recente, orientamento, la individuazione della residenza ai fini Ires va effettuata sulla base delle disposizioni dell’articolo 73 del Tuir, trattandosi di una fattispecie riconducibile all’evasione e non all’abuso del diritto (Cassazione 11709 e 1710/2022; 23150 e 23225/2022; 1753/2023).
L’adesione all’uno o all’altro orientamento determina conseguenze ai fini della ripartizione dell’onere probatorio e delle garanzie riconosciute al contribuente in sede di controllo, di accertamento e nella fase contenziosa.
Ebbene, nel caso affrontato, i giudici sembrano seguire il primo orientamento, confermando peraltro il principio per cui il nuovo articolo 7, comma 5-bis, Dlgs 546/1992, si applica anche ai giudizi in corso al 16 settembre 2022, come quello in esame. La posizione è in linea peraltro con altre corti di merito che hanno annullato la pretesa fiscale ritenuta carente sotto il profilo probatorio (Cgt Reggio Emilia n. 293/2022; Cgt Emilia Romagna n. 90/2023; Cgt Siracusa n. 3856 e n. 3866/2022; Cgt Enna n. 1509/2022).
Anche la stessa Cassazione, con le ordinanze 31878-1880/2022, ha affermato, implicitamente, ma chiaramente, l’applicabilità immediata della norma anche ai processi in corso, pur precisando che la novella «non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto a quelli vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale».