Imposte

La consolidante di comodo non può usare le perdite delle consolidate

L’interpretazione della Cassazione (sentenza 13123) in assenza di una norma esplicita: la società non può usare quelle perdite per ridurre il proprio reddito

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

In caso di consolidato fiscale, la società consolidante, considerata “di comodo”, non può utilizzare le perdite delle consolidate per ridurre il proprio reddito al di sotto del minimo di legge. Questa la conclusione della sentenza n. 13123 della Cassazione.

La questione riguardava un gruppo di società che aveva optato per il consolidato fiscale. La consolidante è risultata di comodo e aveva pertanto indicato in dichiarazione il reddito minimo presunto. Una volta rispettata tale regola, la consolidante aveva ritenuto di poter applicare i criteri valevoli in caso di consolidato fiscale, provvedendo a compensare il proprio reddito, determinato nei minimi di legge, con le perdite d'esercizio delle consolidate. La Cassazione, accogliendo le tesi dell’Agenzia, ha disconosciuto la legittimità dell’operato della società, affermandone la contrarietà alla ratio della normativa sulle società di comodo. È stato in particolare eccepito che in nessun caso il soggetto non operativo può assoggettare a imposizione un importo inferiore al minimo di legge. La sola ipotesi in cui la società di comodo può utilizzare in compensazione le perdite riguarda la dichiarazione di un reddito maggiore di quello minimo.

Si tratta tuttavia di un’applicazione analogica fatta dalla Cassazione in danno del contribuente di una previsione che non riguarda la fattispecie controversa. Ed invero, l’articolo 30, comma 3, legge 724/1994, vieta la possibilità di utilizzare le perdite in riduzione del reddito minimo, ma con riferimento a perdite di esercizi precedenti del medesimo contribuente. Nel caso in oggetto, invece, si trattava di perdite del medesimo esercizio, conseguite da soggetti diversi da quello non operativo. Stante il principio di legalità che assiste la normativa tributaria, il comportamento della parte privata non doveva essere rettificato, in quanto posto in essere in assenza di una chiara indicazione legislativa contraria.

Da segnalare, infine, le indicazioni della Corte sulla ratio della normativa sulle società di comodo, correttamente individuata nell’esigenza di contrastare le società “senza impresa”, che non svolgono cioè un’effettiva attività economica (anche se viene impropriamente fatto riferimento alla finalità antielusiva della norma). Da qui, deve essere tratta la conseguenza logica che per provare di non essere “di comodo” è sufficiente dimostrare di svolgere una reale attività commerciale, senza che rilevino in alcun modo le circostanze che non hanno consentito di conseguire i ricavi minimi di riferimento.

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