Imposte

Iva, nei contratti derivati non c’è controprestazione

Il contratto derivato non è controprestazione, se non in riferimento alla commissione richiesta dal promotore

I contratti relativi a strumenti derivati non possono essere considerati in campo Iva per i differenziali generati, in quanto gli accordi stipulati tra le parti e il pagamento sostenuto da una solo di loro sulla base di indici predeterminati non si possono configurare come il corrispettivo di una controprestazione.

I contratti derivati hanno natura aleatoria la cui causa contrattuale è ammessa dall’ordinamento proprio perché l’alea trova negli indici predeterminati l’elemento di razionalità della “scommessa” sottesa agli stessi.

Queste conclusioni, che sostanzialmente divergono da quanto sostenuto dall’agenzia delle Entrate con la risoluzione 1/2022 (si veda l’articolo), trovano la loro ragione proprio nei documenti richiamati dalla stessa risoluzione che considera superata la precedente risoluzione n. 77 del 16 luglio 1998.

L’agenzia delle Entrate giunge a questa non condivisibile conclusione sulla base di una ricostruzione giuridica della particolare tipologia di contratto in forza di sentenze della Corte di cassazione che l’Agenzia stessa considera innovative e qualificanti per rivedere la propria precedente posizione. In effetti, tali sentenze che perseguono specifici obiettivi di legittimazione giuridica dei contratti derivati ribadiscono principi già contenuti nella predetta risoluzione del 1998.

In particolare, è da leggersi in conformità al passato e non in contrasto il fatto che:

• la Cassazione con varie sentenze sostiene che il contratto di finanza derivata è quel contratto aleatorio con cui le parti si obbligano reciprocamente all’esecuzione di una prestazione pecuniaria il cui ammontare è determinato da un evento incerto (nella risoluzione viene citata ad esempio la sentenza della Cassazione civile n. 10598 del 19 maggio 2005);

• la Cassazione (Sezioni unite civili n. 8770 del 12 maggio 2020) sostiene, per legittimare la causa del contratto, che le obbligazioni pecuniarie nascenti dal derivato non costituiscono mere obbligazioni di dare somme di denaro fungibile, perché per la loro quantificazione è necessario tener conto degli oggettivi parametri di calcolo che consentono di gestire il collegato rischio finanziario.

In effetti, proprio da questi due richiami l’Agenzia sottolinea (con particolare riferimento alla Cassazione a Sezioni unite) che nel contratto derivato (swap) non si ravvisa un mero scambio di flussi finanziari, bensì un accordo basato su variabili previamente individuate e da questo deriva (non si capisce bene con quale ragionamento sottostante) che sul piano fiscale l’operazione è da considerarsi totalmente esente e che la base imponibile deve essere determinata nel differenziale monetario che deve essere assolto da una delle parti in base alle regole imposte in materia di pronti contro termine dalla legge 133/1999.

Nel ragionamento dell’Agenzia, a nostro modesto avviso, esistono tre errori di fondo: il primo è rappresentato dal fatto che l’accordo e gli impegni reciproci assunti dalle parti sulla base di parametri predeterminati (questione mai messa in discussione sul piano civilistico anche dalla risoluzione 77/98) determinino, in qualche modo, il venir meno dell’aleatorietà del contratto rendendo certo il risultato che diventerà certo solo al termine prestabilito; il secondo è che da questa impostazione deriverebbe che la prestazione eseguita da una delle parti è da configurarsi come una controprestazione rilevante ai fini Iva; il terzo è che sulla base dei due presupposti precedenti sia richiamabile per la determinazione della base imponibile la norma relativa ai contratti pronto contro termine, norma che è stata voluta dal legislatore per disciplinare (proprio a differenza dei contratti derivati) delle ipotesi in cui il risultato finale dell’operazione era già noto dall’inizio e che, per conseguenza, determinava una controprestazione tassabile nella misura dello specifico differenziale (con il regime di esenzione). Nessuna analogia è pertanto ammissibile tra pronti contro termine e contratti derivati, considerando la radicale differenza evidenziata sia dalle norme di redazione dei bilanci che dai diversi principi contabili.

In conclusione si ritiene, in uniformità con il passato e con varie posizioni espresse dall’amministrazione finanziaria, che il contratto derivato non costituisca mai controprestazione tra le parti che si assumono reciproche obbligazioni del tutto aleatorie, se non in riferimento alla commissione richiesta dal promotore dell’operazione per la quale opera l’esenzione prevista dall’articolo 10, n. 4, del Dpr 633/1972.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©