Imposte

La contabilizzazione guida il regime fiscale delle differenze di cambio

Il caso della distribuzione di dividendi in valuta estera

Le differenze di cambio mutuano il regime fiscale delle altre componenti di reddito ma solo se vengono contabilmente rappresentate insieme a queste ultime, come nel caso della cessione di partecipazioni in valuta. Se questa unitarietà non sussiste, come accade per la distribuzione di dividendi in natura, le differenze di cambio contabilizzate separatamente vanno trattate fiscalmente in via autonoma secondo le regole dell’articolo 110, comma 2, del Tuir. Alla formulazione di questo principio arriva il primo dei «Casi del think tank di Deloitte Sts», dedicato a dividendi in valuta estera e differenze di cambio.

L’analisi del tema parte dal caso di una società di diritto italiano che adotta gli standard contabili nazionali e possiede una partecipazione totalitaria in una società estera, la quale, nel corso dell’anno, ha deliberato una distribuzione di dividendi.

Il paper analizza due aspetti principali. Prima di tutto l’individuazione del momento di contabilizzazione dei dividendi secondo corretti principi contabili insieme all’eventuale obbligo, sul piano contabile, di rilevare le relative differenze cambi. Sotto questo profilo il documento sottolinea che «i proventi finanziari connessi ai dividendi deliberati devono essere determinati al tasso di cambio vigente alla data di maturazione del dividendo medesimo, ovvero alla data della relativa delibera di distribuzione». La valutazione al tasso di cambio di fine anno del credito per i dividendi, già deliberati e non ancora incassati, «genera una differenza cambio - spiega il paper - rilevabile come tale nel conto economico dell’esercizio in cui è stata adottata la predetta delibera (ed eventualmente anche negli esercizi successivi, se il tasso di cambio dovesse modificarsi ancora prima dell’incasso dei dividendi)».

Il secondo focus riguarda invece il regime fiscale cui assoggettare i dividendi nel periodo di imposta in cui sono percepiti e, in particolare, la possibilità di considerare corretta la non attribuzione di autonoma rilevanza fiscale alle differenze cambi maturate dalla data di delibera assembleare a quella di incasso. In questo caso, «pare corretto riconoscere, in aderenza al principio generale di determinazione del reddito d’impresa - si legge nel documento - rappresentato dalla “derivazione” del reddito imponibile dal risultato economico di esercizio, l’autonoma rilevanza della contabilizzazione delle differenze su cambi e, coerentemente, non riconoscere tale rilevanza ove, come nel caso delle poste “non monetarie”, siffatte differenze non siano state contabilizzate». Una soluzione che «è da ritenersi preferibile a quella alternativa, la quale sembrerebbe emergere da alcune prese di posizione dell’agenzia delle Entrate, volta ad attribuire portata “assorbente” alle disposizioni tese ad assegnare rilevanza fiscale al principio di cassa ... e a rendere di conseguenza irrilevante la valutazione dell’elemento patrimoniale ... iscritto in contropartita del componente di reddito rilevante in base al principio da ultimo nominato».

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