Imposte

Fisco: addio all’Irap, meno Irpef e forfait. Nella proposta delle Camere salta il catasto

Via libera nelle commissioni Finanze al documento con le indicazioni per ripensare tasse e antievasione

di Marco Mobili e Gianni Trovati

Nella proposta di riforma fiscale approvata il 30 giugno dalle commissioni Finanze di Camera e Senato resta in piedi il forfait per le partite Iva con ricavi o compensi fino a 65mila euro. Anzi, il regime si arricchisce con un meccanismo di accompagnamento che eviterebbe il ritorno brusco all’Irpef a chi supera la soglia dei ricavi: l’ipotesi, delineata dal documento approvato ieri sera dopo lunghe giornate di discussione e con la mediazione in particolare dei Cinque Stelle, è quella di una via opzionale per restare nel forfait nei due anni d’imposta successivi, a patto però di dichiarare un volume d’affari incrementato di almeno il 10% rispetto a quello dell’anno precedente. In quel caso, l’aliquota piatta salirebbe dal 15 al 20% o, per le start up, dal 5 al 10%.

A motivare la conferma del forfait, pure in una versione aggiornata, è uno degli obiettivi di fondo della riforma: quello della crescita economica, che impone di cancellare il più possibile gli ostacoli alla crescita dimensionale delle attività economiche. Si spiega così anche il cuscinetto che eviterebbe per due anni il ritorno all’Irpef, e che sarebbe accompagnato da una limitazione dei poteri di accertamento da parte delle Entrate.

Il forfait è stato solo uno dei temi che ha dominato ieri la tornata finale delle discussioni fra i partiti nelle due commissioni guidate da Luigi Marattin (Iv, Camera) e Luciano D’Alfonso (Pd, Senato). Al centro della scena c’è stata anche l’Irap, che soprattutto per i centrodestra va superata non solo inglobandola nell’Ires, ma determinando anche una riduzione generalizzata della pressione fiscale; e, dall’altro lato, la riforma del Catasto, che secondo il centrosinistra dovrebbe riequilibrare l’Imu in favore degli immobili dei piccoli centri nelle aree interne e di quelli inagibili. La mediazione confluita nel testo finale prevede che l’addio all’Irap non comporti aumenti fiscali a carico dei dipendenti, e ancora una volta fa saltare l’idea di rivedere i valori fiscali del mattone.

Scogli non piccoli, che però non hanno impedito alle due commissioni di arrivare ad approvare un documento condiviso. Passaggio fondamentale, questo, perché permette al Parlamento di giocare da protagonista nel cantiere della riforma che entro la fine di luglio dovrà produrre la legge delega da parte del governo.

Nelle proposte di modifica alla bozza iniziale presentata la scorsa settimana, su cui si è concentrato il confronto di ieri, trova spazio anche un ripensamento profondo del capitolo dedicato alla lotta all’evasione. Il nuovo testo bilancia in maniera attenta l’esigenza di evitare inciampi di privacy nella capacità dell’amministrazione finanziaria di inviduare il nero e le tutele da assicurare ai contribuenti. In particolare, il Parlamento chiede di accantonare definitivamente strumenti di ricostruzione presuntiva di redditi o ricavi come il redditometro, le indagini finanziarie sulle imprese o le società di comodo quando le banche dati fiscali siano in grado di offrire ai controllori la possibilità di ricostruire in modo analitico l’imponibile di persone fisiche e imprese. Nel nuovo sistema disegnato dalle Camere diventerebbe poi un passaggio obbligato il contradditorio preventivo fra contribuente e uffici del Fisco. Il quadro delle novità dell’ultima ora si completa con l’indicazione di un rafforzamento del fisco ambientale che passerebbe anche da un riordino dei bonus per la riqualificazione degli edifici e in un aumento della detraibilità Iva per le auto che non inquinano.

Per il resto, i pilastri della proposta di riforma fiscale che ora il Parlamento consegna al governo restano quelli anticipati su questo giornale nelle scorse settimane. Sull’Irpef si punta a una riduzione del carico in particolare per i 7 milioni di contribuenti che popolano il terzo scaglione, fra 28mila e 55mila euro di reddito; per le imprese, in particolare le più piccole, si spinge per un addio all’Irap, che sarebbe inglobata nell’Ires, e per un rilancio dell’Imposta sul reddito dell’imprenditore, già tentata ma mai attuata. Il riordino del sistema in chiave duale imporrebbe poi una revisione delle aliquote sulle rendite finanziarie per portarle a un livello «sufficientemente prossimo» alla prima aliquota Irpef (che oggi è al 23%). Mantenendo però il trattamento di favore per i titoli di Stato, come il testo finale si premura di precisare.

IRPEF

Tasse più leggere per il ceto medio e minimo esente

Il documento finale sulla proposta di riforma fiscale approvato ieri dalle commissioni Finanze di Camera e Senato conferma l’obiettivo di rivedere l’Irpef per ridurre il carico fiscale soprattutto sui 7 milioni di contribuenti oggi compresi nel terzo scaglione da 28mila a 55mial euro. L’ipotesi prevalente è quella di una riduzione e semplificazione di scaglioni e aliquote, mentre resta residuale la proposta di una progressività spinta sul modello tedesco. Per i redditi più bassi e per quelli coperti dai trattati internazionali contro le doppie imposizioni, si dovrebbe introdurre un minimo esente senza obblighi di dichiarazione che raddoppierebbe per i giovani under 35.

IMPRESE

Addio all’Irap e tassa piatta per i piccoli

Per autonomi e partite Iva la proposta di riforma del fisco elaborata dal Parlamento propone soprattutto due interventi. Il primo è l’addio all’Irap, che andrebbe inglobata nelle «imposte esistenti» (prima di tutto l’Ires, ovviamente) con una clausola che impedisca al riordino di compensare l’eventuale mancato gettito con maggiori tasse sul lavoro dipendente. Resta in campo poi la Flat Tax per le partite Iva fino a 65mila euro di ricavi o compensi, con un meccanismo di accompagnamento che eviti il ritorno immediato all’Irpef per chi supera la soglia. In questo caso si potrebbe scegliere di rimanere per altri due anni nel forfettario pagando un’aliquota del 5% in più.

AUTONOMI

Ritorno dell’Iri e acconti a rate per le partite Iva

Tra le proposte parlamentari rivolte al mondo delle partite Iva c’è il rilancio dell’Imposta sul reddito dell’imprenditore, con aliquota proporzionale per incentivare la crescita dimensionale dell’attività economica. In cantiere c’è poi la revisione del calendario dei versamenti di saldo e acconto delle imposte, con la possibilità di pagamenti rateali mensili e non più concentrati nei due appuntamenti annuali di giugno e novembre. Il passaggio alla dilazione mensile cancellerebbe, o in ogni caso ridurrebbe profondamente, l’utilizzo della ritenuta d’acconto sulla vendita di beni e servizi da parte delle partite Iva.

LOTTA AL SOMMERSO

Digitalizzazionee analisi puntuali contro l’evasione

Nella proposta trova spazio un ricco capitolo dedicato alla lotta all’evasione fiscale e alle sanzioni. Sul primo fronte si chiede di contemperare meglio le esigenze di tutela della privacy con quelle di raccolta del gettito sottratto all’erario. Sul piano dei controlli si chiede di superare gli strumenti di ricostruzione presuntiva del reddito, come il redditometro o le indagini finanziarie, quando le banche dati fiscali permettono un’analisi puntuale della situazione del contribuente.
Le sanzioni andrebbero modulate distinguendo i casi di mancato versamento per errore da quelli in cui le tasse non sono pagate per certificati problemi di difficoltà economica.

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