Finanza

L’atto di recupero va impugnato anche se l’impresa vuole aderire

Controlli in corso o appena chiusi: meglio informarsi su tempi ed elementi inibitori

Le riflessioni che faranno le imprese interessate dalla sanatoria sul credito d’imposta R&S saranno differenti a seconda della diversa casistica concreta. Mentre, infatti, chi non ha ancora subito alcuna verifica è chiamato all’attenta attività di due diligence sopra descritta, in parte differente è il comportamento di chi è già stato interessato da un controllo.

Se la verifica è in corso, meglio chiedere ai verificatori (possibilmente facendolo verbalizzare) se, sino ad ora, hanno individuato elementi in grado di inibire la sanatoria, oltre a quando, presumibilmente, la verifica potrebbe chiudersi.

Per le verifiche già ultimate, con processo verbale di constatazione già rilasciato, il documento è una prima fonte di informazioni per comprendere quali contestazioni l’ufficio ha rilevato e se sono presenti elementi di frode, eventualmente già segnalati alla Procura.

Anche in questo caso il confronto con l’ufficio dovrebbe accertare se, per l’Agenzia, sussistano elementi inibitori alla sanatoria e quali sono i termini in cui si prevede di trasferire le predette contestazioni in un atto di recupero. In proposito, in presenza di intervenuta compensazione di crediti d’imposta che l’ufficio qualifica come inesistenti, i termini di accertamento di cui all’articolo 27 del Dl 185/2008 scadono il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo all’utilizzo, per cui non pare che ci sia fretta per le notifiche degli atti di recupero, con possibilità di attendere l’eventuale istanza di adesione alla sanatoria da parte dell’impresa. Per di più, notificando il recupero si darebbe il via a una riscossione integrale (con interessi e sanzioni) difficilmente compatibile con la sanatoria.

Discorso ancora diverso per chi ha già avuto la notifica dell’atto di recupero. Anche quest’ultimo è fonte privilegiata per verificare cosa viene imputato all’impresa , tuttavia l’elemento principale da considerare è che l’attuale disciplina della sanatoria si disinteressa completamente dei tempi del contenzioso. Pertanto, anche se si intenda aderire, l’atto va impugnato nei termini, con tutte le contestazioni del caso. Se nel frattempo si è chiamati in giudizio, meglio chiedere al giudice una sospensione per valutare l’adesione, ma, comunque, difendersi “come se” l’adesione non esistesse. Idem se si è già ottenuta una decisione di primo grado, sfavorevole (da appellare nei termini) o meno.

Ma proprio qui sta l’anomalia più grande dell’articolo 5 del Dl 146/2021: costringere uffici e contribuenti a procedere con tutti gli atti formali nelle more del termine per aderire alla sanatoria (notifiche, impugnazioni, memorie etc). Tempo e oneri sostenuti inutilmente se l’impresa aderirà in assenza di ipotesi di frode o altre contestazioni simili. Su questo punto la disciplina è fortemente “monca”, e per rendersene conto è sufficiente confrontarla con quella del Dl 119/2018.

L’invito al legislatore, in sede di conversione, è, quindi, quello di sospendere tutti i termini di accertamento e di contenzioso almeno sino al 30 settembre prossimo: inutile continuare a litigare mentre si perfeziona un armistizio.

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