Imposte

Residenza in Cina, smart working (lungo) in Italia: redditi imponibili in entrambi gli Stati

Il reddito di lavoro dipendente percepito da un residente a Shanghai, per l’attività svolta a distanza per la maggior parte dell’anno, rileva fiscalmente anche nel nostro Paese

di Dario Aquaro

Il reddito di lavoro dipendente percepito da un residente in Cina, per l’attività di lavoro svolta nel 2020 in smart working in Italia, rileva fiscalmente anche nel nostro Paese. Lo precisa l’Agenzia in risposta (99/2023) a un contribuente, residente a Shanghai e iscritto all’Aire, che nei primi mesi del 2020 è venuto in Italia per un breve soggiorno ma a causa dell’emergenza Covid-19 non è potuto rientrare in Cina (c’era il blocco dei visti per tutti i cittadini stranieri, anche se residenti). Così ha continuato a lavorare a distanza per la società cinese, mantenendo la residenza a Shanghai . Ma nel corso dell’anno, di conseguenza, ha registrato meno di 183 giorni di permanenza all’estero (restando in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta).

Il contribuente ha chiesto quindi al Fisco se i redditi di quell’anno (2020) vadano tassati in Italia o in Cina. E, nel caso in cui debbano essere tassati in Italia, se deve «riportare in dichiarazione il ’’valore netto frontiera’’ o il reddito lordo cinese sul quale calcolare l’Irpef e, successivamente, considerare come credito d’imposta quanto pagato in Cina».

Ma mentre l’istante ritiene che i redditi siano da ritenere soggetti a imposizione esclusiva in Cina, l’agenzia delle Entrate risponde diversamente.

Ricorda innanzitutto che si considerano prodotti in Italia i redditi di lavoro dipendente prestato, da soggetti non residenti, nel territorio italiano (articolo 23, comma 1, lettera c, del Tuir). E che questa disposizione non si applica «qualora il nostro Paese abbia stipulato, con lo Stato di residenza del lavoratore, una convenzione per evitare le doppie imposizioni che riconosca a quest’ultimo Stato la potestà impositiva esclusiva sul reddito di lavoro dipendente prestato in Italia».

In proposito, il Trattato con la Cina prevede – all’articolo 15 – che le remunerazioni percepite da un residente di uno Stato per «l’attività dipendente» svolta nell’altro Stato sono imponibili in entrambi i Paesi. Sempre l’articolo 15 della Convenzione precisa poi che quelle stesse remunerazioni sono imponibili solo nel primo Stato (cioè quello di residenza) se:
«a) il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell’anno solare considerato; e
b) le remunerazioni sono pagate da, o per conto di, un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato; e
c) l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato».

Poiché il primo requisito non è soddisfatto (nel 2020 il contribuente ha soggiornato in Italia per oltre 183 giorni), le remunerazioni in esame risultano imponibili in entrambi gli Stati.

E la conseguente doppia imposizione sarà risolta, in base all’articolo 23, paragrafo 3, della Convenzione, «attraverso il riconoscimento di un credito d’imposta da parte della Cina».

In definitiva, «l’istante dovrà riportare nella dichiarazione dei redditi da presentare in Italia i redditi di lavoro dipendente percepiti nell’anno di riferimento e determinati in base alle disposizioni contenute negli articoli 24 e 51, commi da 1 a 8, del Tuir».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©