Piccoli studi contabili, la digitalizzazione stenta a farsi strada
Il sondaggio dell’Università di Torino tra i commercialisti: software poco sfruttati e organizzazione del lavoro ancorata a metodi tradizionali
I piccoli studi contabili faticano a sfruttare la digitalizzazione. Una rigidità da correggere in fretta, così da ottimizzare i ritmi di lavoro, alzare la qualità del servizio e rendere le professioni di nuovo “attraenti” per i giovani. Occorrono investimenti, maggior apertura mentale e il coinvolgimento dei produttori di software. Non è un caso, infatti, se il 78% dei professionisti ammette di non conoscere tutte le funzionalità messe a disposizione dai programmi. E il 47% gradirebbe più offerta di formazione da parte delle software house.
Sull’utilità del digitale, tutti d’accordo: il 96% riconosce il collegamento tra investimenti e maggiore efficienza. I dati emergono da una ricerca condotta da un team del dipartimento di management dell’Università di Torino, guidato da Paolo Biancone (ordinario di economia aziendale) e Silvana Secinaro (associata del dipartimento). Tramite un questionario, inviato su scala nazionale, sono state raccolte le esperienze di 215 studi medio-piccoli, per lo più composti da due o tre professionisti più alcuni collaboratori, in prevalenza di Veneto, Piemonte, Marche, Trentino Alto Adige, Abruzzo e Sicilia. I rispondenti erano per il 56% dottori commercialisti, 23 % revisori legali, 14% consulenti del lavoro, 8% fra avvocati e tributaristi.
Che cosa è emerso? «Senz’altro c’è rigidità, una tendenza a restare legati a forme di lavoro tradizionali, cui si somma la difficoltà a orientarsi nella varietà di offerte», secondo Biancone. «Il nostro intento è stimolare una vera cultura digitale. I titolari degli studi, non appena comprendono le potenzialità delle novità, si convincono ad utilizzarle. Ma questo non è ancora un modello diffuso e costante», ammette Secinaro.
Troppo spesso lo “scatto in avanti” avviene per caso, magari grazie a qualche collaboratore “smanettone”. Altrimenti, si fatica a cambiare. E i software, che pure costano, sono sfruttati per meno del 50 per cento. Così, se alcune attività, come la contabilizzazione delle fatture elettroniche, sono evase in automatico in circa il 90% dei casi, altre, come l’acquisizione della prima nota, troppo spesso sono condotte ancora con metodi improduttivi. «Accelerare su questi automatismi sarebbe solo il primo passo. Perché la prossima frontiera è spingere per la diffusione dell’intelligenza artificiale e della blockchain», suggerisce Secinaro.
Il report è destinato a diventare un appuntamento trimestrale, così da monitorare i progressi della digitalizzazione negli studi contabili.