Imposte

La «branch exemption» mette sotto la lente la stabile organizzazione

di Alessandro Saini

Sono ancora molti i nodi da sciogliere sull’applicazione della «branch exemption». Il provvedimento del 28 agosto dell’agenzia delle Entrate ha infatti sviluppato i principali aspetti applicativi della disposizione lasciando però sul tappeto alcuni dubbi non di poco conto.

Presupposto della «branch exemption» è l’esistenza di una stabile organizzazione nello Stato estero, requisito che, secondo il provvedimento (paragrafo 2.4), è da verificare ai sensi della convenzione contro le doppie imposizioni tra quest’ultimo e l’Italia, ove in vigore, ovvero, in mancanza di una convenzione, dei criteri di configurazione della stabile organizzazione dettati dall’articolo 162 del Tuir, «a meno che, in ogni caso, lo Stato estero non ravvisi l’esistenza di una stabile organizzazione ai sensi della sua legislazione domestica». Tale ultima formulazione non pare immediata in quanto, sulla base della stessa, sembrerebbe che l’esistenza di una stabile organizzazione secondo la normativa dello Stato di localizzazione sia requisito sufficiente ai fini del regime opzionale, ponendo così in subordine le previsioni convenzionali ovvero l’articolo 162 del Tuir. Si ritiene tuttavia che tale conclusione sia da escludere in quanto in contrasto con principi ormai consolidati nella stessa prassi dell’amministrazione finanziaria (tra le altre, circolare 9/E del 2015 , risoluzione 277/E del 2008 e risoluzione 104/E del 2001 ), secondo i quali non è ammesso il riconoscimento del «foreign tax credit» - e quindi l’adozione dello speculare regime della «branch exemption» (si noti come il parallelismo tra l’articolo 165 e l’articolo 168-ter del Tuir sia previsto dallo stesso articolo 14, comma 4, del Dlgs n. 147/2015 («Decreto internazionalizzazione») - in presenza di una stabile organizzazione estera non conforme alle previsioni pattizie ovvero all’articolo 162 del Tuir.

Una conferma si ritrova del resto nel successivo paragrafo 2.5 del provvedimento, secondo il quale se lo Stato estero accerta l’esistenza di una stabile organizzazione, la stessa rientra nel perimetro di esenzione «purché, oltre alla configurazione nello Stato estero, ricorrano le ulteriori condizioni di cui al punto 2.4». Si può quindi ragionevolmente ritenere che anche ai fini della «branch exemption» - in modo analogo al credito di imposta ex articolo 165 del Tuir - sia in primo luogo necessaria l’esistenza di una stabile organizzazione secondo la normativa dello Stato estero di localizzazione e la stessa debba essere conforme alle previsioni convenzionali ovvero all’articolo 162 del Tuir.
Il provvedimento sembra inoltre confermare la posizione già assunta dall’agenzia delle Entrate nella circolare 9/E del 2015 e nei precedenti documenti di prassi, secondo i quali la “lettura a specchio” prevista dall’articolo 165, comma 2, ed il conseguente rimando all’articolo 162 del Tuir non opererebbe in presenza di una convenzione contro le doppie imposizioni, risultando quest’ultima prevalente.

Nessun riferimento viene quindi fatto in merito alla possibilità di applicare l’articolo 169 del Tuir che consente di adottare le disposizioni più favorevoli tra quelle convenzionali e quelle previste dal Tuir. Si noti che l’articolo 169 potrebbe risultare di particolare interesse nel caso di specie in quanto potrebbe ad esempio consentire di escludere dal regime della «branch exemption» alcune stabili organizzazioni estere conformi alle previsioni convenzionali ma non all’articolo 162 del Tuir, in deroga al principio «all in, all out». Si tratta di un aspetto tutt’altro che pacifico ed ampiamente dibattuto in dottrina che meriterebbe un approfondimento da parte delle Entrate. Se infatti la regola fosse quella di disapplicare sempre le disposizioni del Tuir in presenza di un trattato, occorrerebbe domandarsi in quali casi è invece applicabile l’articolo 169. Vale inoltre la pena evidenziare che se quest’ultima interpretazione fosse l’unica possibile, alcune disposizioni, quale il novello «res non dom» domestico - agevolativo dei redditi prodotti all’estero individuati secondo l’articolo 23 del Tuir, in virtù della “lettura a specchio” prevista dall’articolo 165, comma 2 - potrebbero perdere parte del loro interesse in presenza di una convenzione contro le doppie imposizioni in quanto alcuni dei redditi prodotti all’estero secondo l’articolo 23 del Tuir non sarebbero tali secondo le previsioni pattizie (si considerino, ad esempio, i «capital gain», generalmente assoggettati ad imposizione nel paese di residenza del cedente), producendo così effetti “peculiari”.

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