Imposte

Stabili organizzazioni, in assenza di frode non può essere chiesta nuovamente l’Iva

di Giovanni Iaselli e Antonio Tomassini

L’accertamento di una stabile organizzazione occulta da parte dell’amministrazione finanziaria rappresenta il momento di massima frizione nei rapporti tra il fisco e i gruppi multinazionali non residenti. Questo tipo di contestazione si fonda su elementi di fatto, quali la presenza di una struttura fisica e/o umana avente un determinato grado permanenza sul territorio italiano, che ad avviso degli organi accertatori individuano il vero “soggetto passivo” (diverso dalla propria casa madre straniera) che ha effettuato le operazioni e prodotto i relativi redditi in Italia.

Le conseguenze fiscali sono quasi sempre pesantissime, poiché tutti i ricavi dovevano essere dichiarati e tassati in Italia dalla stabile organizzazione così come pure tutti gli adempimenti Iva connessi alle operazioni effettuate dovevano essere espletati da quest’ultima. Ai fini Iva, in passato tali contestazioni si traducevano in una nuova richiesta dell’imposta sulle cessioni di beni o servizi effettuate nei confronti di soggetti passivi italiani, oltre all’applicazione delle sanzioni per omessa fatturazione e omessa dichiarazione. Ciò indipendentemente dal fatto che per le stesse operazioni l’Iva fosse stata comunque assolta dal l’acquirente italiano mediante il reverse charge.

Nel caso di contestazione di stabile organizzazione occulta, l’operazione considerata “resa” da quest’ultima veniva nuovamente tassata con contestuale richiesta delle sanzioni per omessa fatturazione e omessa presentazione della dichiarazione annuale Iva (rispettivamente, artt. 6 e 5 del Dlgs n. 471/97). Se, per il debito Iva, l’evidente doppia imposizione ed il contrasto con i principi comunitari quasi sempre induceva gli accertatori a non formalizzare una seconda richiesta dell’Iva, restava il nodo delle comunque pesantissime sanzioni proporzionali.
A risolvere la problematica (pro contribuente) ci ha pensato in prima battura il legislatore, con le modifiche al regime sanzionatorio del reverse charge in vigore dal 1° gennaio 2016 (art. 6, commi 9-bis, 9-bis1, 9-bis2 e 9-bis3, Dlgs n. 471/97) e, interpretativamente, l’agenzia delle Entrate con la circolare 16/E/2017.
Il neo-introdotto comma 9-bis2 dell’art. 6, Dlgs n. 471/1997 prevede che, in assenza di frode, laddove l’Iva sia stata erroneamente assolta dal cessionario/committente mediante reverse charge (in luogo del metodo ordinario), fermo restando il diritto alla detrazione per quest’ultimo, al cedente/prestatore non può essere chiesta nuovamente l’Iva, trovando applicazione soltanto la sanzione fissa compresa fra 250 euro e 10.000 euro.
La citata circolare n. 16 ha affermato che tale sanzione va irrogata per tutte le operazioni riconducibili al regime del reverse charge ma per le quali non ricorrevano “tutte” le condizioni per la sua applicazione, tra cui si fa espressa menzione del caso della stabile organizzazione occulta.
Pur non esplicitandolo, l’Agenzia conferma che l’applicazione della sanzione di cui all’art. 6, comma 9-bis2, Dlgs n. 471/1997, esclude l’insorgere di un nuovo debito Iva e assorbe le sanzioni per omessa fatturazione e omessa dichiarazione. Per quest’ultima violazione, è l’assenza di un debito Iva insoddisfatto (perché l’Iva è stata comunque assolta dall’acquirente italiano) ad escludere l’esistenza della suddetta violazione.
In definitiva, le contestazioni riguardanti la stabile organizzazione occulta non dovrebbero quasi mai presentare pesanti riflessi ai fini Iva. La direzione intrapresa da legislatore e agenzia è quella giusta e riduce i rischi degli investitori stranieri che operano nel nostro Paese, già spaventati dalla frequenza con la quale l’amministrazione accerta stabili organizzazioni occulte.

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